Il fenomeno della povertà in Italia ha raggiunto nel 2015 il livello più alto degli ultimi dieci anni. Ben 4 milioni 598 mila persone si trovano in condizione di povertà assoluta. Individui spesso invisibili che sono esclusi dalla vita sociale. In povertà relativa, invece, ci sono 8 milioni 307 mila persone (fonte Istat).
Il termine povertà assoluta si riferisce all’incapacità di acquistare un paniere di beni e servizi considerati essenziali per avere uno standard di vita minimamente accettabile. La differenza con la povertà relativa è che, quest’ultima, deriva dal confronto con uno standard medio rappresentativo di una comunità, rispetto al quale, si rilevano differenze.
In realtà nel paniere non ci sono solo beni e servizi che soddisfano bisogni essenziali come nutrirsi, avere una casa o riscaldarsi, ma anche bisogni che consentono di essere parte attiva della società. Ad esempio, la possibilità di comunicare attraverso uno smartphone rappresenta una necessità lontana dalla sopravvivenza, ma certamente vicina al bisogno di esistere in un contesto sociale tecnologico e virtuale. Anche il concetto di bisogni primari quindi si modifica nel tempo. Inoltre, il costo per soddisfarli non è omogeneo sul territorio nazionale. Così, un adulto di 18-59 anni che vive da solo è considerato povero assoluto con una soglia pari a 819,13 euro mensili, se risiede in un’area metropolitana del Nord; di 734,74 euro, se vive in un piccolo comune settentrionale; di 552,39 euro, se risiede in un piccolo comune del Mezzogiorno.
Il dato veramente allarmante è che analizzando la composizione della popolazione coinvolta, oggi un minore su 10 si trova in povertà assoluta e l’incidenza del fenomeno, rimasta stabile tra gli anziani, ha continuato a crescere nella popolazione tra i 18 e i 34 anni di età, triplicando rispetto al 2005. In sintesi, non sono tutelati i bambini e chi nasce povero, sembra doverci rimanere. Al contrario, nonostante la bassa media delle pensioni italiane, gli over 65 poveri assoluti sono rimasti gli stessi in termini percentuali dal 2005 ad oggi.
A livello europeo in Ue è a rischio povertà 1 cittadino su 6 (fonte Eurostat).
Di fronte a numeri così preoccupanti quali sono le misure di protezione sociale messe in atto dai governi? Soprattutto trasferimenti sociali di denaro che hanno ridotto nel 2014 il tasso di rischio di povertà tra la popolazione dell’UE-28 dal 26,1 % al 17,2 %. In maniera minore in Romania, Grecia, Italia, Bulgaria, Lettonia, Polonia, Estonia ed ex Repubblica jugoslava di Macedonia. In misura maggiore in Irlanda, Danimarca, Finlandia, Islanda e Norvegia, dove almeno la metà delle persone esposte al rischio di povertà è stata portata al di sopra della soglia.
Altra nota è che all’aumentare della povertà crescono le disuguaglianze sociali e la differenza tra ricchi e veri poveri. Tanto che i redditi percepiti dal 20 % della popolazione con reddito più elevato sono 5,2 volte superiori a quelli percepiti dal 20 % della popolazione con reddito più basso.
Occorrono misure strutturali e trasferimenti di denaro che comportino la possibilità di contribuire alla società con l’apporto del lavoro. Misure da costruire nel tempo. Non accettiamo che nel 2017 nascere e morire poveri sia un destino. Non pensiamoci solo quando leggiamo che il gelo, casa di un cittadino senza casa, ha colpito ancora.
Maria Luisa Visione