Avevo più volte sottolineato che non potessero esserci i presupposti per una vera riforma pensionistica e così è stato ad oggi, in effetti.
Certo, il punto è sempre da quale prospettiva si guarda. Da quella dello Stato, l’obiettivo di tutela principale rimane l’impatto della spesa pubblica sui conti pubblici. Le variabili demografiche e occupazionali non hanno avuto miglioramenti in grado di far quadrare il bilancio pubblico prima, né nel lungo periodo. Se si rimane stazionari va bene, e ciò significa che voli su incentivi nuovi non se ne possono fare.
Diversa, è invece, la prospettiva del lavoratore che, in maniera soggettiva, cerca di coniugare l’assegno pensionistico con la qualità della vita, per cui anche l’età di accesso diventa un elemento fondamentale nell’ottica di vivere in serenità la sua aspettativa di vita. Pensare di far leva sull’assegno pensionistico è meno probabile e possibile; per questo l’ottimizzazione economica, finanziaria e patrimoniale della storia economica personale, è un percorso che deve essere agito prima.
Vediamo cosa ci consegna la manovra di bilancio per il 2025.
In linea di massima non ci sono novità sugli anticipi; prorogati, dunque, Quota 103, Ape sociale e Opzione donna senza modifiche inaspettate, rispetto a quanto stabilito in precedenza. L’occhiale rimane di breve periodo, perché la coperta è corta.
Su Quota 103, con 62 anni di età e 41 anni di contributi versati, viene imposto il ricalcolo contributivo. La virata della legge di bilancio precedente sull’importo massimo dell’assegno pensionistico aveva già fatto diminuire le richieste di anticipo per Quota 103 e non credo che ci sarà il boom nel 2025.
Come avevo anticipato la direzione è, se possibile, mantenere i lavoratori in attività piuttosto che favorirne l’uscita anticipata, attraverso incentivi fiscali al datore di lavoro; aspettiamo le specifiche. Il motivo è da rintracciare nella numerosità dei lavoratori attivi rispetto alla popolazione in pensione per mantenere l’equilibrio, evitando che maggiori anticipi pesino in negativo.
Così come rimaniamo in attesa dei numeri definitivi sulle pensioni minime, mentre sembra che l’indicizzazione all’inflazione sarà piena, ma è evidente che l’impatto sui conti pubblici, data la frenata, è diminuito.
Il faro acceso sarà sulla previdenza complementare ancora non diffusa rispetto alle necessità di integrazione reddituale che si potrebbero effettivamente avere, una volta in pensione.
Potrebbe così esserci un nuovo semestre di silenzio assenso per destinare il Tfr ai fondi pensionistici.
Circostanza che, da un lato sposta l’attenzione sull’utilizzo consapevole del Tfr, dall’altro favorisce quello di Fondi pensione e Piani individuali pensionistici, nell’ottica di un occhiale integrato e ampio al problema.
Rimane il fatto che la responsabilizzazione individuale è imprescindibile e che attivarsi per costruire il futuro pensionistico con le proprie risorse economiche non è più derogabile.
Ed è l’occasione di fare il punto sulla propria situazione. Quando andrò in pensione? Con quanto? Posso anticipare? Come? Quali istituiti previdenziali ottimizzano ad oggi i miei desideri?
Maria Luisa Visione