Come ha certificato a febbraio l’Istat, per la prima volta dal secondo dopoguerra, la fotografia demografica dell’Italia restituisce l’immagine di un tasso di mortalità tra i più alti e nascite al minimo storico, dopo l’Unità d’Italia. In particolare, nel 2015 l’aspettativa di vita registra un calo alla nascita e si attesta a 80,1 anni per gli uomini (2 mesi in meno) e a 84,7 anni per le donne (3 mesi in meno).
Conoscere tale tendenza non è irrilevante dal momento che nel calcolo della previdenza pubblica si tiene conto dell’adeguamento all’aspettativa di vita. Gli interventi riformatori del sistema pensionistico in Italia hanno applicato con coerenza le indicazioni europee, in primo luogo introducendo il sistema contributivo per tutti e, in seconda battuta, innescando una pluralità di interventi successivi con lo scopo di innalzare i requisiti minimi anagrafici e contributivi di accesso alla pensione pubblica. In un contesto di generale invecchiamento della popolazione, innalzare i requisiti minimi alla speranza di vita e adeguare i tassi di sostituzione (rapporto tra la prima rata annua di pensione e l’ultima retribuzione annua) ai parametri di mortalità, risponde all’esigenza di sostenibilità delle prestazioni erogate.
Così è stato creato un automatismo, ovvero un meccanismo di revisione automatica dei coefficienti di trasformazione, avente il fine di preservare l’equilibrio finanziario del sistema pensionistico. Tale meccanismo, iniziato nel 2013 con un adeguamento di tre mesi, prevede una revisione triennale fino al 2019 e successivamente, dal 2021, biennale. La notizia è che lo scenario mostrato dall’Istat ha fatto rivedere alla Ragioneria dello Stato le stime che proiettavano nel 2019 un incremento di cinque mesi per i requisiti del pensionamento. Nell’ultimo Rapporto sulle tendenze di medio lungo periodo del sistema pensionistico e sanitario, aggiornato a luglio 2016, l’incremento che doveva scattare il 1° gennaio 2019, non è più certo. Il dato, elaborato in riferimento allo scenario demografico Istat centrale del 2011, viene ricalibrato sulla base delle stime del 2015, nuovo anno di riferimento.
Quindi, cosa possiamo aspettarci? Se si riduce la speranza di vita, nessun adeguamento dal 2019. Ma anche se la speranza di vita diminuisse, dal 1° gennaio 2018 l’età minima per la prestazione di vecchiaia sarà comunque 66 anni e 7 mesi. In pratica, però, rispetto al precedente scenario, tale requisito minimo viene bloccato fino al 2020 e l’età di accesso scende, seppur di qualche mese negli anni successivi. In caso di applicazione del nuovo scenario, anche il requisito minimo per la pensione anticipata ordinaria di 42 anni e 10 mesi di contributi verrebbe bloccato e consentirebbe un anticipo di 5 mesi.
Solo alla fine del 2017 apposito decreto del Ministero dell’Economia fisserà l’adeguamento per il biennio 2019-2021. La riflessione che scaturisce da tutto ciò è che, indipendentemente dallo scenario demografico, presto l’accesso alla pensione di vecchiaia lavoratori e lavoratrici l’avranno a 67 anni. Se aumenterà l’importo dell’assegno da incassare, sarà per meno tempo. In ogni caso, non a tutti i conti torneranno.
Maria Luisa Visione