Pensioni minime: difficile vedere un cambiamento. Confronto con gli altri Paesi.

Il tema delle pensioni minime in Italia e degli agognati 1.000 euro sembra non vedere risoluzione.

Pensare che si riesca a dare una svolta per adeguare gli importi a un livello dignitoso è certo auspicabile, ma non sembra fattibile, stando ai numeri delle proiezioni della spesa pubblica pensionistica del MEF.

In Italia nel 2024, il trattamento minimo pensionistico è salito a 615 € mensili per tutti i pensionati, con un piccolo aumento generato dalla componente inflazionistica, considerato eccezionale.

Oltre al tema dell’assegno pensionistico anche il tassello legato all’età minima rimane aperto. 

In Francia, quando il Governo ha annunciato la proposta di riforma di alzare, da 62 a 64 anni, entro il 2030, l’età anagrafica minima per andare in pensione, al fine di garantire un assegno pensionistico adeguato e portare a 43 anni l’anzianità contributiva necessaria, la risposta è stata lo sciopero nazionale.

Ciò conferma che il tema è sensibile in molti Paesi e che pur effettuando delle manovre correttive per allontanare l’effetto congiunto sulla necessità di avere risorse per garantire la sostenibilità delle uscite pubbliche, generato dall’invecchiamento della popolazione e dall’aspettativa di vita in aumento, resta complicato agire in maniera strutturale, con il rischio di continuare a penalizzare proprio le fasce più deboli della popolazione. Non rispettando, quindi, proprio le indicazioni dell’OCSE per la cooperazione e lo sviluppo sociale. 

Considerando la variabilità derivante dall’attuale mercato del lavoro, in base alle tasse versate la soglia di età per accedere è variabile e va dai 52 anni in Turchia ai 67 in Norvegia e Islanda per gli uomini; per le donne, dai 49 anni in Turchia, ai 67, la più alta, in Norvegia e Islanda (Fonte: “Pensions at a Glance”, 2022).

Ragionando in termini di età effettiva media, ovvero quella derivante dai diversi effetti di anticipo applicabili, in Europa, parliamo di 64,3 anni, per gli uomini, e di 63,5 anni, per le donne. Stando ai dati Ocse, tuttavia, la pensione si ottiene a 64,5 anni in Francia e a 65,7 in Germania (sia per gli uomini che per le donne). Di contro, in Italia, Lussemburgo e Slovenia l’uscita dal lavoro è anticipata a 62 anni per le donne con almeno 20 anni di retribuzione. 

Anche su questo fronte si apre un tema, ovvero la maggiore longevità delle donne in Italia un’aspettativa di 84,8 anni, contro gli 80,5 degli uomini (Fonte: Istat 2023). Fenomeno presente anche in Francia, Belgio, Grecia, Lussemburgo e Spagna. 

Attualmente, la prospettiva italiana che leggiamo allarmante sposta le lancette da 71 a 74 anni per la pensione di vecchiaia.

Ed ecco che ritorna l’altro tema, cioè quello di un assegno dignitoso che copra anche le necessità legate a un aumento potenziale della non autosufficienza dovuta all’invecchiamento.

Tornando in Francia, nella riforma pensionistica tanto discussa, la proposta di aumento della pensione minima è stata portarla a 1.200 euro, un valore doppio rispetto al nostro.

Rientriamo ancora a casa: l’ultima manovra di bilancio ha ridotto l’importo massimo erogabile fino a 67 anni d’età, da cinque a quattro volte il trattamento minimo e ne abbiamo visto gli effetti con poche richieste da parte dei lavoratori. 

Per i giovani del sistema contributivo puro, invece, per la pensione di vecchiaia basterà maturare un importo pari all’assegno sociale e non più a 1,5 volte lo stesso. Sempre per loro, si è fissato il diritto alla pensione anticipata all’età di 64 anni con 20 anni di contributi, e un importo mensile di pensione maturata non inferiore a 3 volte l’assegno sociale (non più a 2,8 volte), fermo restando il limite massimo d’importo di pensione erogabile fino a 67 anni di 5 volte il trattamento minimo Inps.

Tutto però è in evoluzione. Ma il tema di rendere dignitose le pensioni minime, insieme a trattamenti sociali di assistenza quando si rendono necessari, rimane fermo.

Maria Luisa Visione