Avanti 2022!
Arriva un nuovo anno da raccontare, tra numeri e persone, tra statistiche e valori, tra aspettative e consuntivi, tra progetti e andamenti reali.
Salutiamo il 2021 scrivendo di lavoro, tirando la riga delle righe su un argomento cruciale, con l’auspicio di ritrovarci, alla fine del 2022, a raccontare numeri migliori per l’anno che stiamo lasciando.
Il 2020 fa emergere con forza che avere istruzione premia nel mondo del lavoro; il termine esatto è “premio occupazionale dell’istruzione”, che sta ad indicare una maggiore probabilità di essere occupati al crescere del titolo di studio conseguito. Tradotto: rispetto a chi ha la licenza media, un laureato ha un vantaggio nel trovare lavoro di ben 29 punti percentuali. Inoltre, sono le donne ad avere un vantaggio occupazionale maggiore correlato all’istruzione più elevata.
Tuttavia, nel nostro Paese rimane un divario importante che dobbiamo colmare; mi riferisco al fatto che, se è vero che in tutta l’UE si registra la dinamica di correlazione positiva tra lavoro e istruzione, in Italia, anche per i livelli di istruzione più elevati, ci sono ancora meno opportunità occupazionali. Quanto meno? Nella fascia clou, quella che precede l’uscita dalla famiglia di origine, ovvero i 30-34enni laureati, occupiamo il 78,3% contro l’86,5% della media UE 27 (Fonte: Istat). È proprio così: il divario occupazionale più ampio è massimo per chi si trova in prossimità di avere il primo lavoro, all’ingresso nel mercato del lavoro (anche se, a livello comunitario il divario si amplia sempre tra le giovani generazioni, su tutti i livelli di titolo di studio).
Questa è la prima evidenza che vorrei non ritrovare alla chiusura statistica dati 2021: un mercato del lavoro che presenta difficoltà ad occupare i giovani più formati e ad ottimizzare la presenza di capitale umano nella crescita e nello sviluppo del nostro Paese.
C’è poi un altro elemento di riflessione, ovvero che a seconda della laurea conseguita osserviamo importanti differenze nell’occupazione: al primo posto ci sono le lauree nell’area medico-sanitaria e farmaceutica (86,4%); secondo posto ambiti scientifico e tecnologico, lauree STEM (84,5%); terzo posto aree socioeconomica e giuridica (80,1%); quarto posto aree umanistica e dei servizi (75,2%). Altro numero che vorrei non ritrovare è l’attuale forte differenza di genere a sfavore delle donne nel tasso di occupazione delle lauree STEM (10%). Non vorrei ritrovare questo numero perché racconta ancora uno stereotipo di lungo corso tra le “cose da uomini” e le “cose da donne”.
Osserviamo, poi, un ulteriore gap da rimuovere; riguarda i 18-24enni che hanno abbandonato gli studi, occupati al 33,2%, per il meno 9% rispetto all’Europa; divario che ha continuato ad allargarsi dal 2008 ad oggi, più marcato per gli uomini, che per noi riguarda giovani che vorrebbero lavorare ma che non trovano occupazione. Quindi, vorrei dare a chi ha abbandonato gli studi, ma vuole lavorare, la possibilità di farlo.
Per chiudere, l’Italia registra sempre la quota più alta di NEET, giovani che né studiano, né lavorano nell’UE 27, in particolare rispetto a Spagna, Francia e Germania. Giovani senza esperienza di lavoro che non vengono inclusi, con frequenti situazioni di disagio economico e psicologico. Vorrei che questo divario finalmente si riducesse per avere giovani che non perdono la speranza di lavorare e di far parte della società.
Vorrei lasciare i numeri che vi ho raccontato e incontrare un mondo del lavoro migliore, per ognuno di noi.
Maria Luisa Visione