Qualche giorno di respiro per uscire e riassaporare la magia di un pranzo fuori dalle mura domestiche, fare un regalo in presenza, tra le luci e il rumore delle persone che passeggiano e si riconoscono, sotto la mascherina, pensando al Natale. Un Natale che ricorderemo… per lungo tempo.
Un Natale che ci lasceremo alle spalle con il bilancio economico più difficile e inaspettato della nostra storia, dopo la Seconda Guerra Mondiale. So che queste parole non sono piacevoli da leggere, e credetemi, nemmeno da scrivere.
In questi mesi abbiamo imparato parole nuove come “resilienza” e ritrovato termini lontani, arcaici quali “resistenza”. Nell’animo di ognuno di noi, in profondità, si trova un cambiamento; può darsi che in alcuni casi sia stato semplicemente accelerato, in altri, invece, improvviso e impensato, tanto che lo stiamo ancora metabolizzando.
Gli interventi di politica economica attivati hanno certamente attenuato e rallentato, temporaneamente, gli effetti disastrosi della crisi economica scatenata dall’emergenza sanitaria. Oggi si intravede la terza catena emergenziale che, purtroppo, appare sempre più nitida: quella sociale, derivante dall’aumento della disoccupazione e dei nuovi poveri.
Si tratta di una situazione sistemica; le stime OCSE riportano la caduta più importante del PIL mondiale degli ultimi 75 anni, uno scenario che fa venire i brividi soltanto a nominarlo.
E lo sappiamo perché lo vediamo all’interno delle nostre famiglie dove nessuno è indenne. Perché le nostre famiglie non sono fatte, in media, dei ceti più ricchi e altolocati. Sono fatte di lavoratori, di persone che a tutti i livelli, hanno costruito sogni e immaginato il futuro, grazie alla certezza del lavoro.
Siamo consapevoli che un tale impatto economico necessita di tempi lunghi e di sostegni economici corposi e duraturi da parte del Governo, di moratorie e crediti fiscali. Dobbiamo anche prendere atto, però, che, per le condizioni in cui il virus ci ha trovato, siamo all’interno di una mancata crescita dell’economia reale, percepita almeno dal 2007. Questo significa che chi era già fragile lo è diventato ancora di più e chi aveva appena aperto un’attività ha trovato lo tsunami davanti. In tutta questa panoramica, ci fanno osservare che siamo in ritardo: sul progresso tecnologico, sulla digitalizzazione, sulla ricerca e sull’innovazione, sulla qualità e quantità del capitale umano.
Tuttavia, non solo noi, ma il sistema che è stato costruito, ha portato ad aumentare in generale la disuguaglianza nella distribuzione dei redditi, allargando il divario, acuendo la capacità degli Stati di garantire pari opportunità e facendo avanzare un triste fenomeno: la “non possibilità” per i figli di elevarsi ad uno status sociale migliore rispetto ai genitori. Constatazione triste, non solo perché è legata alla disponibilità effettiva di denaro, ma perché, inevitabilmente, da tale disuguaglianza si generano ripercussioni sull’istruzione, sulla qualità del lavoro e su quella della vita e della salute.
Quindi, dobbiamo chiederci, per quanto sia poco piacevole, verso quale mondo economico stiamo andando, ma anche verso quale mondo ci dirigevamo prima della pandemia. Qualsiasi sia la risposta soggettiva dobbiamo essere consapevoli che l’economia è vita, dato che se non funziona l’economia reale, che è strettamente legata al funzionamento della moneta, abbiamo perso tutti.
Nell’ultima lezione di Visco emergono tutte le fragilità del sistema economico che è stato costruito e la necessità di riallinearsi, di essere più produttivi. Emergono i ritardi e un’interpretazione che non condivido, ovvero essere gli ultimi della classe. Non la condivido perché credo fortemente nelle capacità di noi Italiani anche se devo ammettere che si fa emergere la vera causa dei tanti ritardi, spesso sottovalutata, cioè, lo scarso investimento in istruzione.
Infine, Visco richiama alle risorse dei fondi europei del programma Next Generation come a uno straordinario sostegno per rimetterci in pari a livello europeo. D’altra parte, basta vedere la ripartizione dei fondi del Recovery Plan per comprendere che questo è l’indirizzo principale, insieme a una economia “a basse emissioni”.
Diventa chiaro, quindi, che servono aiuti e che servono per ancora molto tempo prima di rivedere la luce, ma non dimentichiamoci che ci sarebbe bastata la nostra Banca Centrale con potere di emissione monetaria.
In ogni caso, dal mio punto di vista, bisogna ancora fare lo sforzo di imparare che tutto questo disastro deve lasciarci migliori e farci ritrovare più forti.
Come in “Un sogno per domani”, in cui Trevor inaugura una specie di movimento spontaneo chiamato “Passa il favore”. La prima buona azione facciamola verso di noi, regaliamoci un libro. Poi verso una persona sconosciuta, dalla quale non riceveremo nulla in cambio. Infine, facciamola verso una persona che conosciamo per la quale sappiamo che ciò che per noi è un piccolo favore per lei è qualcosa di davvero importante.
Un modo per ricordarci che le azioni virtuose del singolo saranno sempre in grado di innescare un circuito generoso per il mondo intero.
Passiamo il favore! Buon Natale a tutti.
Maria Luisa Visione