Forse molti non lo ricordano, ma il primo intervento di Draghi risale a novembre del 2011, con il taglio del tasso di interesse di 0,25 punti (da 1,50% a 1,25%). Occorreva rispondere ai segnali di modesta recessione dell’area euro del primo trimestre. A dicembre 2011 e a febbraio 2012 con due aste LTRO consecutive il sistema bancario riceveva oltre mille miliardi di euro e, di conseguenza, si neutralizzava la crisi del debito sovrano. “Il bombo deve evolversi in un’ape per volare” affermava Draghi a luglio del 2012; bisognava cioè preservare l’euro a qualunque costo. Il 4 luglio 2013 la Bce, introducendo la forward guidance,, comunica in maniera esplicita il percorso futuro della politica monetaria. Così a settembre del 2014 parte una nuova operazione di LTRO, ovvero il programma di rifinanziamento al sistema bancario con l’obiettivo di aumentare la concessione di credito alle imprese. In sostanza, le banche ricevono in prestito denaro sotto forma di depositi presso la banca centrale, consegnando in pegno titoli finanziari (collaterali) e pagando un interesse. La novità rispetto alle operazioni di rifinanziamento ordinarie (aste) risiedeva nella durata di lungo termine (scadenza prevista settembre 2018) e nel tasso leggermente più alto (tasso di rifinanziamento + 0,10%). La finalità, invece, che distingueva il nuovo intervento, era il programma mirato di aumento della liquidità del sistema bancario, a fronte di maggiori investimenti a beneficio delle imprese private. Tanto che, se il denaro non veniva investito in nuovi prestiti, la Bce si riservava di richiedere il rimborso con due anni di anticipo.
Il nuovo programma LTRO purtroppo non basta per stimolare la domanda e gli investimenti delle imprese e, a marzo 2015, con il pericolo della deflazione alle porte, la Bce decide di acquistare direttamente i titoli pubblici (QE), manovra che da quota 60 miliardi si porta oggi a 80 miliardi al mese e che potrà estendersi ai titoli privati delle aziende (corporate). L’obiettivo dichiarato è ottenere un valore dell’inflazione vicino al 2%.
Ma qual è la politica monetaria che si persegue con il QE? In teoria, con l’aumento della moneta in circolazione stampata per acquistare titoli si genera: il deprezzamento dell’euro rispetto al dollaro e quindi maggiori esportazioni grazie alla valuta più debole; la concessione di prestiti alle imprese che potranno aumentare gli investimenti; la discesa dei tassi di interesse, sollievo per i debitori; l’aumento dell’inflazione, da cui deriva un rapporto debito/PIL più basso e il calo degli interessi sul debito a favore degli Stati.
Quindi si producono effetti sull’economia reale: stimolo di prezzi, redditi e occupazione. Ma l’attuale fotografia degli indicatori macroeconomici cosa ci racconta rispetto alla politica monetaria partita nel lontano 2011? L’effetto della politica monetaria sui tassi di interesse c’è stato, lo spread sui titoli di Stato si è ridotto e l’euro si è deprezzato. Ma mancano lo stimolo alla domanda e la creazione di reddito e, soprattutto, i dati sull’occupazione restano inaccettabili.
Riporto un confronto da me elaborato tra gli indicatori sensibili dell’economia reale nella tabella seguente (2011-2015). Sono numeri derivanti da fonti ufficiali; conoscerli è fondamentale per comprendere la realtà.
Maria Luisa Visione