Sono “elementi di prova modesti, il più delle volti insussistenti” basati “sulla scorta di pretesi principi penalistici che nessuno di noi vorrebbe vedere presenti nella nostra comunità e democrazia” quelli contestati all’ex direttore generale di Monte dei Paschi di Siena Antonio Vigni, tra gli imputati a Milano nel processo con al centro le operazioni Santorini, Alexandria, Fresh e Chianti Classico. A dirlo è stato in aula, nei passaggi finali della sua arringa, l’avvocato Francesco Centonze che insieme alla collega Carla Iavarone difende l’ex vertice di Rocca Salimbeni nei cui confronti la Procura di Milano ha chiesto una condanna a 8 anni di reclusione. I due legali, che ovviamente hanno chiesto l’assoluzione del manager e hanno pure eccepito una eccezione di incostituzionalità in relazione al reato di ostacolo agli organi di vigilanza, contestato assieme a manipolazione del mercato e falso in bilancio e falso in prospetto, hanno parlato per circa sette ore e ripercorso, cercandole di smontare una per una le accuse.
In particolare proprio quella di falso in bilancio, reato questo per Vigni impossibile da commettere “in quanto non era un consigliere di amministrazione né colui che era preposto alla tenuta delle scritture contabili”. I difensori, dopo una rilettura delle carte del processo e sulla base dell’inedita documentazione proveniente dall’archivio dell’avvocato Crisostomo, hanno puntato a dimostrare l’estraneità di Vigni alle imputazioni a lui contestate e comunque hanno ribadito la correttezza dell’operato dell’ex direttore generale della banca senese. Dopo aver ricordato l’assoluzione della Cassazione con riferimento all’ostacolo all’attività degli organi di vigilanza contestato dai pm di Siena, l’avvocato Centonze, rivolgendosi ai giudici del Tribunale ha concluso: “ora tocca a voi pronunciarvi e siamo sicuri che lo farete con lo scrupolo e l’equilibrio che avete dimostrato durante il dibattimento”.