L’ape, insetto simbolo di operosità, nell’antico Egitto veniva paragonata all’anima e rappresentava la rinascita, perché sgorgata dalle lacrime del Dio Sole Ra. Scorrendo l’Antico Testamento, però, si legge che l’ape ha il miele in bocca e il pungiglione nascosto nella coda; ogni cosa ha un rovescio della medaglia da considerare. L’Ape del Governo, in trattativa con i sindacati, è quella dell’anticipo di pensione che l’Inps concederebbe sotto forma di prestito ai dipendenti, pubblici e privati, disposti a ritirarsi dal lavoro tre anni prima dell’età pensionabile di vecchiaia.
La finalità perseguita da Palazzo Chigi è adottare misure che aumentino la flessibilità in uscita del lavoratore. Per il cittadino, il bivio sulla previdenza è sempre lo stesso: scegliere una migliore qualità della vita data dal tempo recuperato o la convenienza economica. La proposta prevede la possibilità dal prossimo anno per un dipendente, pubblico o privato, nato tra il 1951 e il 1953, di anticipare il suo tempo pensionistico rispetto al requisito minimo di vecchiaia di 66 anni e 7 mesi. L’Inps erogherà l’importo ottenuto da un prestito bancario a carico del lavoratore e, quest’ultimo, lo restituirà in 20 anni a un tasso di finanziamento da definire. Il prestito è coperto da una polizza che, in caso di premorienza, tutela il rimborso del capitale anticipato, senza influire sulla reversibilità. In pratica, si interrompono i versamenti dei contributi e si anticipa l’assegno futuro. Di conseguenza, l’importo della pensione sarà penalizzato dalla rata di rimborso e, implicitamente, dai minori contributi versati. In sintesi, il lavoratore aderisce all’Ape e riceve un assegno minore di quello della pensione di vecchiaia, guadagnando tre anni di tempo. Trascorsi i tre anni inizierà a restituire il prestito e, quindi, il suo assegno pensionistico scenderà per risalire alla scadenza dei venti anni. I calcoli ipotizzati finora stimano un taglio dell’importo che potrebbe superare il 20%. Il tasso di finanziamento ritenuto ragionevole dal Governo è stimato all’1,5%, mentre sulle caratteristiche della polizza di assicurazione ancora si sta ragionando.
E’ evidente che con tale soluzione lo Stato potrà risparmiare. Si pone però il problema che diminuiranno ancora le pensioni già minime riguardanti i redditi più bassi. Per le categorie più deboli, quindi, il sistema pubblico dovrà pensare a come integrare l’assegno, compensandolo con opportune detrazioni e facendosi carico del costo dell’assicurazione. Sul tavolo rimane anche l’alternativa del Tfr. Al lavoratore converrà l’Ape o chiedere l’anticipo del Tfr, potendo contare così sull’importo pieno della pensione senza indebitarsi? Ma la cosa più importante di tutte, a mio parere, è che il cittadino nell’apprendere che potrà fare un mutuo sulla sua pensione è disorientato. Si rende conto che il sistema pubblico, in maniera netta, lo responsabilizza sul suo domani dal momento che deciderà lui, ma, allo stesso tempo, è chiamato a fare una scelta che lo riguarderà per un tempo importante. E tra i cittadini ci sono gli esodati, quelli in esubero, i disoccupati: categorie già penalizzate.
In sostanza, la scelta potrebbe risolversi in chi è costretto e chi, invece, potrà scambiare serenamente la non convenienza economica con una vita diversa, dove il guadagno del tempo supera i minori benefici sui conti individuali e familiari.
Maria Luisa Visione
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