Spesso non si riflette sul fatto che la disoccupazione giovanile, la precarietà lavorativa, la perdita di lavoro over 50, generano effetti ed esiti importanti sulla possibilità di vivere il futuro in serenità economica.
Negli ultimi 20 anni è avvenuta una vera e radicale mutazione nel mercato del lavoro che ormai necessita di un nuovo libretto di istruzioni, nel quale essere in grado di leggere e interpretare l’attuale contesto economico.
Siamo un Paese in profonda decrescita demografica, in forte denatalità e non possiamo pensare che ciò non sia collegato all’aumento della disoccupazione di questi anni. Abbiamo superato 2 milioni di NEET, ovvero di giovani tra i 15 e i 29 anni non occupati, o che non studiano, o che non sono coinvolti in nessun corso di formazione professionale; in pratica totalmente sfiduciati. Spesso, però, non pensiamo che sono giovani che ritarderanno l’inizio di contribuzione ai fini pensionistici, rimandando inconsapevolmente la data nella quale iniziare l’accumulo di risorse economiche e posticipando la loro indipendenza economica, mentre si allontana il momento nel quale staccarsi dalla famiglia di origine e rinunciare all’aiuto economico di genitori e nonni.
Se vogliamo tradurlo in numeri, occorre ragionare sull’equità attuariale che è alla base del calcolo per cui la somma di ciò che versiamo in contributi previdenziali, il Montante, ci verrà restituita sotto forma di assegno pensionistico, tramite i coefficienti di conversione INPS, determinati in riferimento alla speranza di vita.
Riporto come spunto di analisi una tabella di PensioniOggi.it, costruita sulla base dei numeri della Ragioneria dello Stato, dove si evidenzia che nel 2060, per avere una pensione pari al 70% dell’ultima retribuzione, occorre, per un lavoratore dipendente, aver versato più di 42 anni di contributi e, per un autonomo, come ad esempio un commerciante, il versamento di 40 anni di contributi restituirà una pensione leggermente superiore al 50% dell’ultimo reddito percepito. Da cosa è determinato ciò? Nel sistema contributivo, andranno a totalizzarsi in cifre nel tempo il 24% del reddito annuo prodotto per gli autonomi, e il 33% per i lavoratori dipendenti.
In pratica, chi oggi non ha un lavoro, dovrà preoccuparsi non solo di averlo, ma anche che la sua carriera sia continuativa e lunga. E poi, dato che la rivalutazione del Montante accumulato si baserà sulla crescita del PIL, sperare che il PIL cresca davvero nei prossimi anni per coprire almeno l’impatto in termini reali del potere di acquisto.
L’elemento continuità generalmente non viene evidenziato abbastanza, ma invece, è fondamentale perché lavori precari, o senza copertura contributiva, avranno come esito una riduzione significativa domani sulla ricchezza disponibile all’età del pensionamento.
La vera comprensione di queste dinamiche ci deve condurre a ritrovare nella certezza del presente il punto di partenza per la costruzione del futuro, anche se siamo schiacciati e, forse, per un giovane l’esigenza immediata è far tornare i conti oggi.
Il domani arriva presto. A volte, prima di quanto immaginiamo.
Maria Luisa Visione