Come ricordato in diverse occasioni, la Riforma Fornero ha rappresentato una virata verso l’applicazione del sistema contributivo e, ad oggi, a distanza di 12 anni, nel sistema pensionistico italiano non ci sono state altre riforme di natura strutturale, ma solo interventi di tipo transitorio. Non tali, cioè, da generare un impatto nel lungo periodo sulla riduzione della spesa pubblica per evitare l’insorgere della gobba pensionistica.
Evitare il momento in cui il numero delle pensioni da pagare diventi superiore al numero degli iscritti, ovvero a coloro che versano i contributi nel sistema pensionistico a ripartizione per pagarle, è un cruccio che continua a riproporsi, seppur, attraverso tutti gli interventi legislativi già operati, è stato possibile rimandarlo.
Adesso, però, siamo di fronte a due eventi importanti che chiedono risorse economiche; il primo è la procedura d’infrazione dell’UE sui vincoli di bilancio; il secondo è legato al gettito delle tasse IRPEF, diventate tre nel 2024, e al taglio del cuneo fiscale. Solo il 20 settembre, data di scadenza del piano pluriennale delle spese da presentare a Bruxelles, sapremo come saranno reperiti i fondi necessari.
Per questo motivo, il tema delle pensioni è caldo e si muove tra proposte e ipotesi.
Le certezze sono: un aumento della spesa pensionistica già evidenziato nel DEF, da qui al prossimo triennio; la scadenza di Quota 103 a fine anno, insieme ad Ape sociale e Opzione donna, e quindi la traiettoria da prendere verso eventuali altri anticipi pensionistici da attuare.
Si potrebbero ipotizzare nuovi anticipi a fronte di una maggiore decurtazione dell’assegno pensionistico? Oppure, “tagliare la testa al toro” una volta per tutte con una riforma pensionistica davvero strutturale?
La proposta suggerita dagli esperti del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali è quella di innalzare da 20 a 25 anni il requisito minimo contributivo insieme ai 67 anni di età pensionabile, prevedendo incentivi per chi rimane più a lungo a lavoro e penalizzazioni per chi anticipa l’uscita, fermo restando l’importo della pensione nel limite di almeno 1,5 volte l’assegno sociale.
La finestra di uscita si aprirebbe nel range che va dai 63-64 anni ai 72, con la consapevolezza che ritirarsi dal lavoro prima dei 67 anni sarà penalizzante sull’assegno. La logica è sempre quella che l’anticipo pensionistico è un costo per lo Stato che incide sulla sostenibilità presente e futura delle Casse.
Di certo, allungando di 5 anni il requisito contributivo minimo, si potrebbe verificare la condizione non favorevole di essere a un passo dalla pensione e di apprendere, improvvisamente, di dover aspettare ancora 5 anni, vanificando ogni progetto messo in cantiere pensando di andare in pensione.
I calcoli sono già aperti, perché al di là di qualsiasi ipotesi che vedremo da qui all’autunno, i conti pubblici devono tornare.
Ragione per cui, consiglio a coloro che si trovano a qualche anno dalla pensione di rivolgersi a un consulente previdenziale per valutare le opzioni di pensionamento disponibili, combinando tutti gli istituti a favore del tenore di vita desiderato: dalla RITA della previdenza complementare al riscatto di laurea; dai cumuli, totalizzazioni e ricongiunzioni agli anticipi.
Sapere è potere per agire e non subire le circostanze.
Buona consulenza previdenziale a tutti!
Maria Luisa Visione