In odore di manovra di bilancio 2026, il tema delle pensioni è al centro della scena.
Non ci sono ancora informazioni definitive sull’intervento effettivo del Governo su un argomento che rimane caldo per la necessità di destinare risorse economiche che impattano sulla sostenibilità della spesa pubblica pensionistica.
Dalle indiscrezioni, una potenziale riforma potrebbe riguardare l’utilizzo del TFR per accedere alla pensione anticipata contributiva, modifiche alle formule di flessibilità in uscita, ma soprattutto il congelamento dell’età pensionabile. Soffermiamoci su quest’ultimo punto.
Come cambierebbe tale requisito?
L’attuale età pensionabile di vecchiaia è congelata a 67 anni fino alla fine del 2026. Dal 2027 si ipotizza uno scatto in avanti di 3 mesi.
Quanto costerebbe il prospettato adeguamento all’aspettativa di vita?
Si stimano 2 miliardi di euro nei primi 2 anni e fino a 3 miliardi di euro a regime. Importi che pesano, considerando le risorse da destinare anche alle proroghe per Opzione Donna, Quota 103 e APE Sociale.
Tutti sono interessati all’aumento dell’età pensionabile in oggetto?
Rimarrebbero fuori i lavoratori precoci e coloro che svolgono attività usuranti.
Una tutela per le categorie di lavoratori vulnerabili che comporta attualmente meno del 3% di pensionamenti, quindi, limitata come incremento di spesa pubblica, anche se non si può escludere un allargamento di tale platea in futuro.
Quale sarebbe l’impatto sui conti pubblici?
Il vero tema è che l’impatto di un congelamento totale dell’età pensionabile in base ai calcoli della Ragioneria generale sul rapporto debito/Pil sarebbe di circa 15 punti al 2045 e di circa 30 punti al 2070. Ancora una volta l’obbligo dei conti di bilancio, derivante dall’orientamento comunitario, prevale sulle necessità delle persone e lascia pochi margini di intervento.
A conti fatti, dal 2027 occorreranno 67 anni e tre mesi di età per la pensione di vecchiaia, mentre per la pensione anticipata 43 anni e un mese per gli uomini e 42 anni e un mese per le donne.
Ricordiamo che dopo gli adeguamenti inseriti, a partire dal 2013 in maniera triennale fino al 2019 e poi biennale, per i bienni 2021-2022, 2023-2024 e 2025-2026 l’adeguamento è stato nullo, dato che non si sono registrati incrementi della speranza di vita. Situazione modificata con i dati del 2024 che ha registrato per la prima volta, dopo cinque anni, una speranza di vita alla nascita superiore al 2019, con un’aspettativa di 81,4 anni per gli uomini e di 85,5 anni per le donne.
Inoltre, insieme agli adeguamenti scatta l’aggiornamento dei coefficienti di trasformazione del montante contributivo che nel sistema pubblico non possono essere lasciati a sé stessi, dato che il sistema pensionistico si trova a dover affrontare l’invecchiamento demografico e la denatalità in aumento. La sua sostenibilità dipenderà, per le regole attuali, da quanto il rapporto tra occupati e pensionati rimarrà in equilibrio. Prospettiva non semplice da realizzare a causa del rischio demografico.
Vedremo se le varie proposte allontaneranno il problema, ma si tratterebbe soltanto di rimandarlo.
A meno che non cambino le variabili demografiche, economiche e sociali in senso favorevole.
Aspetto ad oggi non prospettabile.
Maria Luisa Visione