Da sempre dedico molto spazio in questa rubrica di economia e di educazione finanziaria all’argomento Pensioni, e in diverse occasioni, mi sono soffermata sulle proiezioni della spesa pubblica pensionistica, per riflettere sui numeri all’origine delle riforme strutturali del passato e di quelle del futuro.
Un tema centrale per comprendere come siamo arrivati fino a qui, allontanandoci dai preconcetti e dai luoghi comuni, tipo “Tanto non ci arriverò mai “, o “Ci penserà lo Stato”; percezioni che spesso rimandano la scelta individuale consapevole di prendere in mano il proprio futuro, creando errori comportamentali e distonia rispetto ai propri desideri.
Ogni giorno i fatti dimostrano che la serenità economica è alla base del benessere psicologico e finanziario, sia in ambito familiare che aziendale. Accade, però, che il tenore di vita dopo il ritiro dal lavoro appaia lontano da raggiungere, che dipenda dagli anni che mancano, piuttosto che dalle decisioni previdenziali mai affrontate.
Invece, le variabili demografiche mostrano con chiarezza che, in quel luogo chiamato pensione, bisognerà starci per lungo tempo. Insieme alle variabili economiche, la demografia svela la cornice entro la quale si muove la potenzialità effettiva del sistema pubblico di destinare ogni anno maggiori o minori risorse alle pensioni, determinate dalla contribuzione obbligatoria e dal sistema di copertura sociale.
Ora se tutti i cittadini, oggi, avessero il pavimento pensionistico minimo che rappresenta la dignità sociale, – non l’assistenza gratuita – di cui il noto economista e sociologo britannico Beveridge si fece portatore nel lontano 1942, significherebbe che esiste equità sociale e difesa reale dei più deboli. Ma, così non è. Per questo motivo, la responsabilizzazione individuale sulle azioni da intraprendere per non sopravvivere al proprio reddito, è ciò che, di fatto, attualmente fa la differenza.
Allora la recente notizia del decreto-legge che prevede il commissariamento degli enti pubblici previdenziali italiani, l’Inps (Istituto nazionale previdenza sociale) e l’Inail (Istituto nazionale per l’assicurazione contro infortuni sul lavoro), non può passare inosservata. In sostanza, rimossi i presidenti dei due enti, saranno nominati, entro 20 giorni dall’entrata in vigore del decreto-legge, due commissari straordinari, in carica fino alla scelta dei due nuovi presidenti.
Decreto, giustificato da caratteristiche di necessità e urgenza, come dovrebbe essere se si commissaria un ente pubblico, a difesa, dunque dei cittadini, oppure atto politico? O, ancora, decreto giustificato dall’efficientamento della governance dei due enti?
Non entro in merito delle diverse posizioni politiche, vicine o lontane, all’attuale Governo, o alle scadenze prossime del rinnovo naturale dei due presidenti, ma invito i lettori a osservare, dato che il tema Pensioni resta caldo, e, ad oggi, non ha visto azioni significative per riequilibrare le generazioni passate, presenti e future, continuando a mostrare disuguaglianza e difficoltà a generare inclusione.
Facciamo un esempio: perché non dare la possibilità ai laureati che non sono ancora entrati nel mondo del lavoro, o che hanno poca contribuzione obbligatoria, di beneficiare del riscatto di laurea gratuito? In fondo, dalle proiezioni, la loro età pensionabile ideale supera i 70 anni, e per l’anticipata, devono contribuire per più di 40, a meno di non accettare domani un reddito, che non è detto possa soddisfare proprio quella dignità umana di cui tutti si fanno portavoce.
Osserviamo, perché il futuro, si genera dalla libertà economica del presente e da un sistema pensionistico attento ai più fragili, supportando i veri bisognosi, nel rispetto della nostra Costituzione.
Maria Luisa Visione
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