È una fotografia disarmante, per certi versi inquietante, quella del 57° Rapporto annuale Censis sulla società italiana al 2023: italiani più fragili, convinti per il 56% di contare poco nella società; profondamente insicuri e impotenti per il 60,8% a causa dei numerosi e inattesi eventi; delusi per il 69,3% dalla globalizzazione che ha portato meno benefici delle aspettative. “Sonnambuli” che camminano, insomma, persone che non vogliono guardare al futuro che il cambiamento demografico ha preparato. Italiani rassegnati a un’Italia in declino per l’80,1%.
Mentre scorro queste evidenze, ancora più alte tra i giovani, mi chiedo: che cosa pensiamo di fare? Sono davvero queste le percezioni e convinzioni per la maggior parte di noi? Ci siamo arresi all’inevitabile?
Sono le paure ad emergere come racconta il Rapporto? Si teme il clima impazzito, si ha paura di una prossima crisi economica e sociale profonda, si pensa di non riuscire a gestire l’arrivo di milioni di persone in fuga dalle guerre e per effetto del cambiamento climatico? È questo il futuro che si intravede: rischi ambientali, demografici e guerre, povertà diffusa, violenza, siccità, collasso finanziario dello Stato per il debito in aumento, energia insufficiente per i bisogni necessari?
Dimenticavo: secondo il Rapporto, la metà degli italiani teme che l’Italia non sarà in grado di difendersi militarmente se attaccata da un Paese nemico; il 73,8% ha paura che non ci saranno lavoratori sufficienti per pagare le pensioni e il 69,2% pensa che la sanità pubblica non riuscirà a garantire cure adeguate. In questi scenari prevale l’immobilismo, ma soprattutto scompare l’identità. Il lavoro non è più la spinta propulsiva della realizzazione personale, scende in secondo piano, prevale il ritorno a una felicità fatta di piccole cose come le passioni personali, il tempo libero, l’attenzione alla gestione dello stress e alla cura delle relazioni.
La centralità del lavoro nella propria esistenza lascia il posto a un senso della vita e delle cose importanti a cui dedicarsi diversi, al ritrovo di un benessere psico-fisico, a un ripiegamento sul presente.
L’altro aspetto che mi colpisce è legato all’eredità generazionale. Si parla di una distanza abissale dei giovani di oggi dalle generazioni precedenti; quell’idea di progresso continuo per loro non esiste, l’idea che la società di domani sarà migliore per le generazioni future, a livello sociale ed economico, è scomparsa. Venti anni fa i giovani erano il 23% della popolazione, oggi sono il 17,5%: 3 milioni in meno. E domani saranno ancora e sempre meno.
E loro i giovani cosa pensano? Il 60,6% dichiara che se ne avesse la possibilità andrebbe via dall’Italia. Leggo anche che il 30,5% dei giovani tra 18 e 34 anni è favorevole alle azioni di rivendicazione sulle opere d’arte per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’emergenza climatica. Allora, davvero non riesco a capire.
Poi ci sono anziani di domani sempre più numerosi e soli, con risposte di welfare in prospettiva peggiori di oggi.
Molti altri aspetti sono contenuti nel Rapporto Censis e meriterebbero dibattito e attenzione. Quantomeno meritano di farci chiedere se è davvero questa la società che vogliamo, se è vero che la risposta all’incertezza sia far prevalere l’inerzia all’azione, se accettiamo che le menti più brillanti scappino e se “non pensare” sia la soluzione. Se la qualità della vita sia recuperare il proprio pezzettino di cielo nel presente e se sia giusto vivere nell’emergenza e nella paura continue, per cui il conflitto mondiale non si esclude nettamente, anzi si teme come possibile.
Poi entro in una delle tante meraviglie, e cito questa, perché ho l’occasione di visitarla poco prima di scrivere questo articolo, in uno dei tanti viaggi di lavoro; entro nel Duomo di Napoli e rimango a bocca aperta. Penso a quale elevazione spirituale abbia consentito all’uomo di rispondere e non soccombere alle sfortune dell’epoca: due terremoti tra la metà del 300 e il 500 danneggiando molte parti della cattedrale. Eppure, da quei terremoti nascono i lavori di ricostruzione e abbellimento di stampo rinascimentale e barocco che oggi ci affascinano. Ricostruzione della facciata nell’800; ristrutturazione dopo la Seconda guerra mondiale. La cattedrale terminata nel 1313-14, nonostante catastrofi naturali e guerre è ancora lì, perché ciò che ha vinto, dal mio punto di vista, è la volontà di farla esistere.
È solo un esempio, ma se invece di parlare sempre di catastrofi ed emergenze, si tornasse a raccontare di più e con frequenza come l’uomo nella storia ha trasformato tante disgrazie in opere d’arte, se si parlasse più delle straordinarie imprese di Leonardo da Vinci e meno di ciò che non siamo in grado di fare, forse cambierebbe il film.
Vivere senza credere di poter trasformare il presente in un futuro migliore e di voler agire per farlo non è vivere.
Io non ci sto!
Maria Luisa Visione