Spread Btp Bund in calo, ma qual è il quadro reale di stabilità e crescita?

Documento di Economia e Finanza

Sembrano archiviati i tempi della paura per lo spread, il differenziale tra il Btp decennale italiano e il Bund tedesco di pari scadenza, parametro che esprime il rischio Paese dell’Italia rispetto a quello della Germania.

Riavvolgendo il nastro della memoria torniamo a luglio 2012, momento storico per il nostro Paese con un significativo quadro di incertezza e lo spread BTP-Bund arrivato fino a 537 punti (24 luglio 2012, fonte Soldi on line); un forte segnale di instabilità e vulnerabilità, speculazione dei mercati finanziari all’attacco e richiesta di riforme strutturali da parte della Commissione Europea.

Dodici anni dopo, la seduta del 15 marzo 2024 segna in chiusura 127 punti, un calo notevole; c’è da chiedersi se le motivazioni risiedono davvero in un miglioramento del quadro di stabilità finanziaria dell’Italia e quanto, ragioni geopolitiche di condizionamento influenzino oggi questi numeri, espressione di un’inversione di tendenza.

In realtà, in maniera più ragionevole, la vera domanda è: “Quanto tale inversione dipende dallo stato di salute dell’Italia, e quanto, invece, da quello della Germania, termine di confronto?”.

Intanto, osserviamo che la riduzione degli spread nei confronti della Germania non riguarda solo noi, anche se abbiamo tassi di interesse sui BTP a dieci anni superiori a Grecia, Portogallo e Spagna.

In secondo luogo, oggi l’economia tedesca si presenta in maniera molto diversa: recessione tecnica e PIL in calo. Il modello economico tedesco, basato sulle esportazioni, risulta, quindi, non infallibile e non scevro di difficoltà, come poteva sembrare in passato, a conferma che un modello di sviluppo economico mercantilista non è la strada ideale per una crescita equilibrata e sostenuta nel tempo per tutti i Paesi.

Qual è l’impatto della riduzione di spread sul debito pubblico? La riduzione si traduce in un minore ammontare di interessi da pagare sui Titoli di Stato, cioè in minore spesa, in un risparmio sui conti pubblici. Conti pubblici sui quali, però, la lente di ingrandimento rimane accesa a causa dell’ammontare di debito in essere, all’interno del sistema dell’Unione Europea.

E qui entra in gioco la crescita del PIL, variabile determinante per rispettare i paletti imposti dalla parità di bilancio; PIL che in proiezione si proietta debole e secondo Banca d’Italia, nelle stime elaborate nell’ambito dell’esercizio coordinato dell’Eurosistema, aumenterà solo dello 0,6% nel 2024 e dell’1,1% in ciascuno dei due anni successivi.

Ricordo che nella seconda metà di dicembre del 2023 il Consiglio della UE ha raggiunto un accordo sulla riforma del Patto di stabilità e crescita, includendo ulteriori criteri numerici, uguali per tutti i paesi, che vincolano la dinamica del debito e il disavanzo strutturale.

Quindi, alla luce dell’incapacità di saper gestire una manovra fiscale come ad esempio il 110%, in mancanza di sovranità monetaria e di applicazione di criteri di controllo equi in corso d’opera, a causa dell’aumento del deficit da giustificare, vedremo quali modifiche affrontare per far fronte alla sostenibilità dei conti pubblici.

Intanto, solo per non dimenticare che i conti di bilancio sono cosa diversa dall’economia reale, è stato appena reso noto lo studio della Cgil che punta i riflettori su un dato sconcertante: sui circa 17 milioni di dipendenti del settore privato, 5,7 milioni guadagnano in media meno di 11 mila euro lordi annui. Meno di tutti gli altri Paesi europei. Le cause: maggior quota di professioni non qualificate; alta incidenza del part time involontario e del lavoro a termine con una forte discontinuità lavorativa.

Allora, quali sono gli allarmi a cui dare la priorità?

Maria Luisa Visione