Ogni anno l’Inps rivaluta l’importo delle pensioni applicando il meccanismo della perequazione, con l’obiettivo di proteggere il potere d’acquisto reale del trattamento pensionistico, qualunque esso sia.
L’ultima rivalutazione, applicata a inizio 2022, è stata dell’1,7%, aumento che raffrontato all’attuale situazione del carovita non è di certo adeguato.
Considerando l’inflazione record nel mese di agosto, con l’Indice Nazionale dei Prezzi al Consumo NIC, al lordo dei tabacchi, in aumento dell’8,4% su base annua, l’impatto sui conti pubblici diventerà una questione delicata nei prossimi mesi per il Governo.
Già a luglio, nell’ultima pubblicazione dedicata dal MEF alle tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico pubblico italiano, erano emerse alcune riflessioni in merito, che danno la misura del problema da affrontare. L’aumento percentuale dell’inflazione, infatti, si traduce in importi più elevati di spesa pubblica per pensioni da sostenere.
Nel Rapporto del MEF leggiamo l’impatto del tasso applicato in relazione ai dati registrati nella parte finale del 2021, previsto per il 2022, e cioè dell’1,7%; l’esito per il 2023 è una proiezione di crescita della spesa che si porta al 16,2% del PIL, rispetto al 15,7% del 2022, incorporando anche le previsioni per l’anno in corso. L’incremento previsto nel biennio 2023-2024 è di oltre 0,7 punti percentuali rispetto alla precedente previsione.
Per i non addetti, e come scrive la Ragioneria dello Stato, ciò significa un impatto dello shock inflazionistico che verrà riassorbito nell’arco di un ventennio, producendo tuttavia, un incremento degli oneri nel periodo 2022-2045, pari in media a 0,4 punti percentuali di PIL.
In proiezione, dunque, servono soldi da inserire in legge di bilancio per garantire l’adeguamento delle pensioni da erogare. Inoltre, con lo scenario economico in peggioramento, il PIL in diminuzione non aiuta: il rapporto con la spesa per pensioni al numeratore crescerà ancora di più.
C’è un altro aspetto da considerare ed è quello legato allo scenario demografico: un quadro in peggioramento con la popolazione in riduzione, nascite ai minimi storici (1,25 figli per donna), aspettativa di vita media di 82,4 anni e un sistema pensionistico a ripartizione, finanziato da coloro che lavorano, che in prospettiva diventeranno meno di quelli che si ritireranno dal lavoro.
Preoccupazione, quindi, e stime che vedono una ricaduta sulla spesa pensionistica di un’inflazione sopra l’8% di un importo necessario non inferiore ai 25 miliardi di euro.
Vedremo come sarà affrontata la delicata questione in relazione al pareggio di bilancio e alla sostenibilità dei conti pubblici, ma la coperta è corta.
Gli effetti finanziari di tutte le riforme pensionistiche adottate in Italia nell’ultimo ventennio, a partire dal 2004 – si legge nel rapporto -, hanno generato una riduzione dell’incidenza della spesa pensionistica in rapporto al PIL pari a circa 60 punti percentuali cumulati al 2060.
In sostanza, Fornero e le lacrime del 2011 hanno contribuito a tale riduzione per circa un terzo.
Ma sembra proprio che i nuovi numeri aprano altri scenari.
Maria Luisa Visione
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