Mentre le vicende sulle banche in crisi occupano quotidianamente le pagine dei giornali, le crisi aziendali si moltiplicano e, sempre più spesso, i processi di gestione sono guidati con poca professionalità, cosa che moltiplica i danni per l’azienda e per il sistema di attori ad esso connesso. Tra le tante crisi ve ne sono molte che, pur non rimbalzando agli onori della cronaca, impattano in modo sostanziale sull’occupazione e sull’andamento economico italiano: il riferimento è chiaramente rivolto alle piccole e medie imprese. Sullo sfondo le nostre piccole e medie realtà combattono una silenziosa battaglia contro la mancanza di liquidità, oramai cronica, dovuta spesso ad un’asimmetria tra tempi di incasso di crediti commerciali e i pagamenti di debito. Per le PMI italiane la crescita porta buone notizie sul fronte dei profitti e della redditività sull’investimento, ma finanziariamente crea non pochi problemi se la disponibilità di credito a breve non affianca la crescita del capitale circolante.
Rispetto a quanto detto finora, si può facilmente comprendere che una grande fetta di piccole e medie imprese restano “scoperte” da offerte di finanziamento capaci di soddisfare le loro esigenze e, laddove sia necessario, ristabilire la liquidità aziendale. Per ovviare a questa problematica tutta italiana, quasi sfruttando l’opportunità in essere, sono nate da qualche anno delle piattaforme digitali extra-bancarie (quindi come alternativa al credito bancario) con una scommessa di fondo: offrire un’alternativa a chi ha bisogno di investire a breve termine con un buon rapporto tra rischio e rendimento. I fondatori di queste piattaforme, anziché puntare sui mercati oltre confine, più sviluppati ma anche con più player, hanno scelto come base di lancio l’Italia, che è sì tra le ultime della fila in Europa per quanto riguarda la finanza alternativa (con un transato complessivo di 8,2 milioni di euro tra crowdfunding, social lending, compravendita di fatture e altre forme di finanziamento lontane dai canali tradizionali) ma è anche un territorio dove c’è più spazio per far crescere questi business. Quindi si può semplicemente dire che hanno cavalcato l’onda, sfruttando i bisogni latenti delle PMI non percepiti a pieno dal contesto bancario tradizionale.
In definitiva si tiene a precisare che, alcune volte, il sostegno delle banche tende a mancare a causa di un deterioramento dei rapporti tradizionali con le aziende, forse una gestione più oculata ed attenta in questo senso porterebbe maggiori benefici per ambo le parti e, di conseguenza, per l’intero sistema economico. Le pmi dovrebbero quindi aprirsi verso una cultura più innovativa, soprattutto da un punto di vista finanziario, anche perché alcuni strumenti di finanza tradizionale – che potrebbero fortemente supportare il circolante aziendale – talvolta non sono neanche conosciuti dalle aziende in questione. Qualora le imprese non riescano ad adeguarsi, esiste la concreta possibilità di sostegno da parte delle società di consulenza che, grazie a professionisti ed esperti, possono aiutare ad indirizzare le aziende e gli imprenditori verso scelte più oculate, sia per quanto riguarda l’assetto strategico-finanziario, sia per le modalità pratiche di accesso al credito (rapporto con le banche). In questo modo le pmi possono facilmente accedere al credito e risolvere i loro problemi di liquidità con soluzioni più adeguate, senza aumentare ulteriormente il loro livello di rischio.
Si può dire, in conclusione, che bisogna necessariamente sostenere ed aiutare le pmi perchè, nonostante la loro sottocapitalizzazione, rappresentano la struttura portante del sistema economico italiano, ed è giusto che vengano “educate” finanziariamente ed indirizzate verso strade che offrano soluzioni giuste ed adeguate per quei problemi che, da tempo ormai, attanagliano la loro quotidiana operatività.