Prendo spunto da un passaggio del Ministro per gli Affari Europei Paolo Savona, contenuto nel discorso tenuto recentemente alle commissioni parlamentari per le politiche europee, in cui si afferma che La Bce deve essere e avere “pieno e autonomo esercizio” di prestatore di ultima istanza.
Facciamo un passo indietro spiegando il significato di tale funzione e il divieto da parte della BCE, contenuto all’art. 123 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, di acquistare direttamente sul mercato primario titoli di debito pubblico.
Nella sua accezione originaria, il termine prestatore di ultima istanza, in genere, si riferisce all’intervento della banca centrale a favore del sistema bancario in difficoltà per fornire liquidità di emergenza, quando cioè nessun altro sarebbe disposto a farlo, al fine di evitare instabilità finanziaria.
In base al suddetto articolo, la BCE non può fornire liquidità di emergenza ai governi che si trovano sotto scacco dei mercati finanziari ed evitare il default di un Paese membro, in ultima istanza, cioè quando nessuno vuole comprare i suoi Titoli di Stato in emissione. Si è inibita, cioè, storicamente, tale forma di intervento per la paura di evitare atteggiamenti di eccessivo indebitamento da parte di qualcuno, rispetto a qualcun altro (moral hazard).
Cosa succederebbe però se si modificasse l’art. 123, fermo restando che ciò trovi l’accordo politico di tutti i governi in Eurozona?
In primo luogo l’incubo spread sparirebbe e quindi le influenze sulla gestione dei singoli Stati. Non avrebbe più senso calcolare il differenziale dei titoli degli Stati membri rispetto ai bund tedeschi e i tassi di interesse dei titoli governativi dei Paesi dell’Eurozona sarebbero determinati direttamente dalla BCE, eliminando la speculazione finanziaria.
Attenzione, inserire tale compito tra quelli istitutivi della BCE, cambia completamente le carte in tavola, perché non è più una facoltà a tempo determinato (pensiamo agli acquisti di Titoli di Stato sul secondario di Draghi degli ultimi anni), ma un preciso dovere nei confronti degli Paesi di non renderli attaccabili.
L’altro effetto, non di meno conto, è quello di rendere i Titoli di Stato, all’interno dell’Eurozona, un porto sicuro per l’investitore finale, vista la continua garanzia della BCE di intervento sul mercato di emissione.
Inoltre, i titoli di debito in scadenza non sarebbero più un problema perché non si creerebbe mai una crisi di sfiducia da parte degli investitori e gli Stati non si troverebbero più costretti ad aumentare i tassi per rendere appetibili le nuove emissioni rispetto al rischio.
Pensiamo poi al fatto che, in un momento ancora complesso come questo, è necessario favorire la crescita e perché non aumentare allora gli investimenti pubblici? Mi riferisco alla messa in sicurezza di territorio, monumenti, scuole, ospedali e tutto ciò che crea e custodisce i beni, patrimonio futuro dei nostri figli e nipoti.
Ultimo aspetto: non si condizionerebbe l’acquisto dei Titoli governativi da parte della BCE a politiche di austerità e a imposizioni di riforme strutturali verso gli Stati.
Quando si spende aumentando il deficit pubblico per cose utili è bene farlo con tassi di interesse bassi, anzi, come ci ricorda Paul Krugman “quando il prezzo è giusto noi dovremmo spendere maggiormente”.
Se il debito pubblico diventa un asset sicuro e non più un problema, il dibattito si sposta dalla stabilità dei prezzi (unico attuale obiettivo della BCE) su crescita, piena occupazione, politiche fiscali, ovvero economia reale.
Maria Luisa Visione
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