È un inverno demografico, ma è anche un inverno economico, sociale e morale quello che viviamo.
Un allarme che dovrebbe suonare forte e risuonare, un’urgenza che non si legge nelle agende politiche. Eppure, ultima notizia a scuotere violentemente uno stato di fatto preoccupante, arriva dall’Eurostat: siamo riusciti ad avere il primato nel numero dei giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano, non lavorano e non sono impegnati in percorsi di formazione, i cosiddetti NEET. Sono, nel 2022, il 17,7% lato ragazzi, e il 20,5% fronte ragazze. Giovani che rappresentano il futuro di questo Paese completamente rassegnati e inattivi nel periodo che “per natura” è il più proficuo della vita dal punto di vista della progettualità e della genialità, delle idee e della procreazione.
L’indice di dipendenza strutturale che misura quanto gelo c’è nella demografia della popolazione italiana aveva superato il 57% nel 2021 e il dato non arretra: siamo al 57,5% nel 2022. L’indice ha al numeratore la popolazione in pensione e al denominatore quella attiva; vuol dire che non solo aumenteranno gli anziani a causa del progressivo invecchiamento, ma, in conseguenza della forte denatalità, saranno sempre meno le persone che lavorano per sostenerli, e che ne portano il carico effettivo. Vuol dire, però, per il futuro, anche meno crescita, meno benessere e un sistema di welfare meno ricco, che dovrà finanziarsi, ma non si capisce come, senza lavoratori occupati.
Come si può pensare che giovani che non studiano e non lavorano saranno in grado di generare quel capitale umano che rappresenta lo scudo di protezione e la sicurezza per il loro sviluppo, la pianificazione familiare, la partecipazione sociale e civile? Il dato dei NEET si associa a quello della disoccupazione giovanile, alle donne che lavorano meno degli uomini, alla mancanza di servizi per l’infanzia, di congedi per i padri, di strumenti efficaci che possano consentire, in presenza di un solo reddito, di sognare di avere figli.
Quali politiche economiche familiari potrebbero sostenere i giovani e favorire la natalità?
Gli assegni familiari esistono, oltre che in Italia, anche in Germania e Francia, ma, ad esempio, il Governo tedesco ha introdotto, a partire dal 2012, una serie di politiche per combattere la natalità. Insieme all’assegno universale per i figli, ben più generoso del nostro, ha ampliato i servizi per l’infanzia, portandoli a costi minimi o nulli e ridisegnato i congedi parentali sia per le madri che per i padri, affinché fossero in grado di garantire la remunerazione, in caso di cura della famiglia, rendendone flessibile l’utilizzo.
Serve un pacchetto di strumenti efficace, che aiuti, realmente, a pensare almeno di avere un figlio, pericolo oggi per tanti giovani che arrivano a non averne nessuno. Ovvero, bisogna dotarsi di una visione più ampia e complessa, non gestire l’urgenza; mettere in atto un’ampia gamma di politiche sociali ed economiche, che guardino alla demografia e al mercato del lavoro.
Anche se, a questo punto, l’urgenza è adesso. Del tema della natalità si parla da decenni, così come dei NEET in aumento.
Sui giovani, adesso, grava il peso di un numero di anziani in crescita, e c’è un vero e proprio squilibrio generazionale, da correggere. I soldi, per trovare una soluzione efficace, ci devono essere.
Io credo davvero che, non intervenire su un dato drammatico come quello dei NEET, oggi è un crimine verso l’umanità.
Maria Luisa Visione
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