È ormai un dato di fatto: se cerchi lavoro non puoi esimerti dal farlo consultando on line i siti aggregatori dei panel di offerte presenti a livello nazionale.
Nel primo trimestre 2021 è stato toccato il massimo storico degli annunci di lavoro pubblicati via internet: ben 156.064, confermando una tendenza crescente, in atto dal 2015. Un trimestre che registra una crescita del 40% rispetto allo stesso periodo del 2020 e del 20% sul 2019 (Fonte: Rapporto 2021 della Fondazione per la Sussidiarietà, in collaborazione con CRISP – Centro di Ricerca – Università di Milano Bicocca, sul lavoro sostenibile).
Numeri che non sono solo numeri, in quanto mostrano correlazione con le aspettative di ripresa post pandemia, e che diventano espressione di come oggi il canale per eccellenza dell’offerta di lavoro sia quello on line. Il flusso maggiore delle posizioni cercate è al Nord, mentre il settore più ambito è il manifatturiero; cala la ricerca di manager e sale quella di addetti ai servizi e alla produzione di beni, mettendo in luce una geografia del lavoro che è già cambiata rispetto a un anno e mezzo fa.
Vedendo così tante offerte di lavoro potrebbe tornare l’ottimismo, ma è doveroso segnalare come, purtroppo i divari territoriali continuano ad essere enormi, tanto è vero che le posizioni offerte al Nord “industriale” su Internet sono il 74% del totale, rispetto al 15% del Centro e solo all’l’11% del Sud e delle isole.
A confermare grandi differenze tra le diverse persone non è solo il luogo, ma anche l’età e il genere. L’Istat nelle ultime statistiche trimestrali disponibili evidenzia una crescita dell’occupazione che coinvolge gli uomini, i dipendenti a termine e i minori di 35 anni. Per contro, diminuiscono le donne, i lavoratori autonomi e gli ultra 35enni occupati. Anzi, a dirla tutta, in generale è la fascia di età compresa tra i 35 e i 49 anni la più penalizzata nella ricerca del lavoro.
Se davvero vogliamo fare un ragionamento onesto questo significa che una parte della popolazione non sta lavorando nel periodo dell’esistenza che dovrebbe rappresentare la massima espressione del capitale umano e del ciclo di vita economico, quello in cui si costruisce la linea della ricchezza nel tempo.
Ma questo significa anche che tale parte della popolazione non sta costruendo, di conseguenza, le tutele necessarie per proteggersi dai rischi personali, per poter beneficiare di una pensione, versando i contributi previdenziali e assistenziali per tempo e sfruttando gli anni necessari agli accantonamenti richiesti dal sistema contributivo. Una distorsione che, insieme al divario territoriale sulla possibilità di trovare un lavoro e alla forte presenza dei contratti a tempo determinato, dovrebbe essere un’emergenza ai giorni nostri.
La verità è che per essere un’emergenza dovremmo ritrovare nei posti strategici “statisti”, persone in grado di vedere come è la prospettiva del sistema intero a non beneficiare di tali meccanismi deleteri nel medio- lungo termine.
Alla lunga è l’intero sistema che non ne beneficia, penalizzando lo sviluppo complessivo della società.
Ma è così difficile formare tutte le persone che non stanno lavorando verso le professioni di cui c’è bisogno e che mancano, creando lavoro stabile?
Ad esempio, nel settore manifatturiero ci sarà sempre più richiesta di manutentori elettromeccanici e di automazione, operai qualificati per controllo qualità e conduzione magazzino, finitori, operatori robot di saldatura, montatori, assemblatori. Lavori legati al nostro sviluppo industriale del futuro.
Maria Luisa Visione