Nati da un’intuizione o semplicemente per risolvere un’esigenza, ciò che hanno in comune i colossi internazionali digitali, è la capacità di trasformare in business l’evoluzione che avanza, con una velocità prima inimmaginabile. Ma anche, per l’UE, di aver usufruito finora di benefici fiscali notevoli.
Non è più tempo di lasciare che le imprese estere che svolgono attività economica in Europa non si adeguino ai principi comunitari di equità fiscale.
Tutto deriva dalla necessità di ripensare il concetto di “stabilimento permanente”, definendo una sorta di “residenza virtuale”, che nasce dall’importanza della presenza digitale in uno Stato. Quando tale presenza diventa significativa, secondo un documento Ecofin (di cui si discuterà in settimana a Tallinn, Estonia), il sistema fiscale di riferimento ne deve tener conto, tassando l’impresa nel Paese dove opera e non, come avviene oggi, in un unico Stato, anche se produce redditi virtuali in Paesi diversi.
La spinosa questione viene annunciata sul sito del MEF, dove è disponibile la dichiarazione politica congiunta a firma di quattro ministri economici: Italia, Germania, Francia e Spagna, inviata al ministro delle Finanze dell’Estonia Töniste e al Commissario Europeo Pierre Moscovici. La proposta ha l’obiettivo di intervenire sulla tassazione dell’economia digitale. Venti digitali che annunciano schieramenti politici, in un coro che vede l’asse franco-tedesco già posizionato in nome dell’Europa.
In Italia, gruppi famosi come Facebook e Google hanno versato una cifra irrilevante in tasse rispetto al giro di affari prodotto in pubblicità, avvalendosi dell’interpretazione favorevole delle attuali regole.
Mi fa sorridere il fatto che curiosando nella storia di molti di questi giganti (spesso con sede negli Stati Uniti), si apprende che lo straordinario successo ottenuto, parte quasi sempre da un garage, tanto da chiedermi cosa abbiano di magico i garage americani.
Il sogno dell’impresa di oggi ha trovato nella capacità di avere le idee la vera sede; eppure parlando di numeri, è proprio l’alta tassazione applicata alle imprese italiane che incide negativamente sui loro bilanci.
Tuttavia, sul tavolo, occorre considerare ogni aspetto: dal possibile aumento dei prezzi che potrebbe riversarsi sul consumatore finale frenando i consumi sul web, al peso del commercio elettronico all’interno del Pil dei Paesi, che ormai ha assunto una quota significativa anche per l’Italia. Ritorna il solito ritornello fra “favorire la crescita e adeguare la pressione fiscale a uno sviluppo sostenibile e competitivo che possa trovare in una soluzione, non nazionale, ma europea maggiore forza”.
Di fatto le multinazionali del web fanno fatturati miliardari e cambiare la prospettiva del prelievo dagli utili alle vendite, significa aumentare le entrate delle casse pubbliche. Un intervento legislativo che tenga conto non solo degli interessi economici dei grandi, deve avere lo sguardo sulla realtà territoriale che rappresenta, supportando le piccole aziende nel passaggio da tradizionali a digitali, possibilmente senza creare vantaggi fiscali solo per alcuni.
Se è anche una questione di garage.
Maria Luisa Visione
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