Questa settimana la mia rubrica la dedico ai pensionati, poco più di 16 milioni, secondo l’ultimo Rapporto Istat che racconta le loro vite oggi in Italia. Genitori, nonni e nonne che hanno conquistato un posto d’onore soprattutto negli ultimi anni di crisi, sul fronte del sostegno economico alle nostre famiglie.
I dati sono certificati per il periodo 2018 – 2019 ma non credo che post Covid la fotografia cambierà molto.
In questo ultimo anno tra le tante notizie lette, ne abbiamo viste di tutti i colori. Abbiamo visto ribaltare il concetto degli over 65 (dominante in tutte le statistiche da lungo tempo) presentati come fascia d’età molto più vulnerabile rispetto al pre Covid, quando veniva considerata ancora giovane per lavorare.
Il bello è che loro non ci stanno a smettere di avere un lavoro, anzi. In 420 mila lavorano anche in pensione e non importa quale sia il titolo di studio o l’età, licenza media, diploma o laurea: oltre il 77% ha almeno 65 anni (53,7% nel 2011) e il 41,7% ne ha almeno 70 (25% nel 2011). E quelli che non percepiscono un reddito da lavoro, in realtà, sono occupati lo stesso. Lo sappiamo, perché sono mancati, soprattutto ai nipoti durante il confinamento di ieri e di oggi.
Ma se per le statistiche, dal 2011, aumenta in media di tre anni la percentuale di coloro che continuano a lavorare dopo la pensione raggiungendo i 69 anni, pensiamoci un attimo: questi 8 anni di differenza sono rappresentativi della nostra percezione sulla longevità in aumento? Perché se lo sono significa che allora possiamo interpretare la longevità come vita in avanti e beneficiare del sapere dell’esperienza.
Il 79,8% della spesa previdenziale è assorbita da pensioni di vecchiaia e anzianità, quindi deriva da lavoro, e il rapporto tra i pensionati che hanno versato i contributi IVS e i lavoratori occupati che li versano attualmente è di 602 su 1.000. Tale rapporto è diminuito di quasi 6 punti percentuali nei sei anni successivi alla riforma del sistema pensionistico del 2012; se pensiamo che prima, in 12 anni, si era ridotto solo di due punti percentuali abbiamo una misura concreta dell’impatto dell’allungamento dell’età pensionabile introdotto dalla Legge Fornero. Come già detto non si è considerati over per avere i requisiti minimi di accesso alla pensione.
Le donne, più longeve, sono in maggioranza; sia come titolari di pensioni che come beneficiarie, ma l’importo medio percepito è più basso rispetto a quello riservato agli uomini, quindi, per quanto riguarda il gender gap non siamo ben posizionati. Tuttavia, dato che percepiscono spesso più di una prestazione pensionistica, le donne riescono a colmare parzialmente il gap. La distribuzione degli importi è molto frammentata e questo dipende dalla storia contributiva, dal tipo di prestazione, dalle normative diverse applicate alla base del calcolo, dalla possibilità di cumulare categorie differenti di reddito pensionistico. La sostanza è che c’è molta disuguaglianza tra i redditi percepiti. Questo fattore ce lo porteremo, purtroppo, ancora avanti per molto tempo perché ha origine dalla disuguaglianza di reddito da lavoro percepito, aspetto con il quale non smettiamo di fare i conti ai nostri giorni.
Ma il dato che in assoluto consegna, a mio avviso, la medaglia d’oro ai pensionati d’Italia è che il rischio di povertà delle famiglie in cui vive un pensionato è inferiore di ben 8 punti percentuali a quello delle restanti famiglie (anno 2018).
Ciò significa che anche durante quest’ultimo anno da dimenticare, in molti casi, grazie a loro, diverse famiglie hanno avuto un salvagente, un’ancora, che, attenzione, non è solo economica, è soprattutto psicologica.
Certo, sappiamo che non per tutti è andata bene. Si continuano a vedere immagini di molti anziani in difficoltà economica, e questo non dovrebbe accadere per come la penso io.
Ma se ci soffermiamo all’immagine di coloro che imperterriti continuano a lavorare e a quella di come e quanto continuano a sostenere spesso i conti familiari, allora è davvero il caso di dire: “Chapeau!”.
Maria Luisa Visione