Il nostro viaggio nel tempo ci porta alla sera del 22 ottobre 1981. Significativi dettagli che girano intorno al fiume, al ruolo della donna nella vita del killer. Fino al giorno in cui Firenze si sveglia e si accorge che i delitti hanno un comune denominatore. E nasce il Mostro
Per chi non conosce la terra toscana, può apparire tutto strano. Strade sterrate in mezzo ai campi, deviazioni di piccole provinciali malridotte dove l’asfalto è quasi un ricordo, che corrono parallele ai grandi centri industriali del capoluogo, si insinuano nel ventre delle colline aprendo scenari cristallizzati a quaranta, cinquant’anni fa. Scenari inaspettati anche per noi che questa terra la conosciamo bene, con le nostre radici e il nostro modo di essere. Immagini che riescono a proiettarci senza difficoltà nel passato, perché dove la vegetazione non ha nascosto, tutto è rimasto intatto. E allora ti trovi a immaginare la scena e ricostruirla, poca fantasia ma un bagaglio di dati alla mano, quasi vivendola direttamente. E quando sei lì a percorrere quelle strade, a tentare i tempi e gli spazi, avverti la pesantezza che solo la morte sa caricare, una morte che cerca risposte. Ti senti lì, a volte con la stessa paura dei rumori improvvisi.
La Marina è un torrente che per dieci chilometri attraversa il comune di Calenzano per poi confluire nel Bisenzio. Arriviamo con l’auto proprio sul ponte sulla Marina, all’inizio di Via dei Prati a Calenzano, dopo aver percorso in direzione nord circa 22 chilometri dalla nostra precedente sosta a Mosciano di Scandicci.
Il nostro viaggio nel tempo ci porta alla sera del 22 ottobre 1981, per precisione alle prime ore del mattino del 23.
Ci posizioniamo con lo sguardo verso il torrente che corre parallelo a Via dei Prati. E’ più o meno mezzanotte. Immaginiamo con gli occhi di Rossella e Giampaolo: furono loro che si trovarono costretti a rallentare ed accostare, sul ciglio della strada, con la loro auto per evitare l’impatto con una Alfa di colore amaranto chiaro che, ad alta velocità, proveniva dalla parte opposta, da quella zona che nel 1981 era abitata appena 30 nuclei familiari e che geograficamente possiamo riconoscere nella località di Travalle.
Rossella e Giampaolo non poterono far a meno di guardare nell’abitacolo di quell’auto che in modo inopportuno percorreva la carreggiata e videro il volto stravolto di un uomo, sui 45-50 anni, stempiato, vestito di scuro e che senza rendersi conto del pericolo corso, si stava dileguando nella notte.
Il perché nei giorni successivi a questo evento gli inquirenti ricavarono il primo identikit del mostro di Firenze, divulgato alla stampa solamente nei mesi a seguire e non nell’immediatezza del fatto, non credo sia difficile da comprendere, così come invece rimarrà sempre un mistero capire il perché gli investigatori non si impegnarono da subito a rintracciare quella Alfa Romeo che in modo così anomalo percorse quel tratto di strada probabilmente pochi minuti dopo il nuovo duplice omicidio.
Sono le 22.30 di giovedì 22 ottobre quando Susanna Cambi, dopo aver cenato a casa di Stefano Baldi, decide, insieme al fidanzato, di uscire di casa per recarsi in un cinema di Firenze. Il giorno successivo non sarebbe stato, come negli altri casi, un giorno festivo, ma era stato proclamato uno sciopero generale che rendeva quel venerdì una giornata comunque “di festa”. Era invece, come in tutti gli altri casi, una notte in cui la luna all’ultimo quarto, illuminava debolmente la campagna. Susanna aveva 21 anni e lavorava presso un’emittente televisiva locale mentre Stefano di 26 anni era impiegato in un lanificio di Vaiano. Saranno i familiari del Baldi a sporgere denuncia di scomparsa al commissariato di Prato la mattina successiva intorno alle 10, quando né di Stefano né di Susanna si hanno più notizie dalla sera precedente.
Le ricerche si interrompono intorno alle 11, quando un pensionato si presenta ai carabinieri di Prato. E’ sotto choc e racconta di aver visto i corpi privi di vita di due ragazzi in località Travalle precisamente in quel campo che viene chiamato Bartoline, sulla Via dei Prati. La scena che si presenta ai carabinieri una volta raggiunto il luogo è la seguente: un’auto, una golf nera, è ferma nel mezzo della carreggiata di uno stradello senza sfondo a poche decine di metri dalla strada asfaltata.
Ha entrambe le portiere chiuse con quella di destra bloccata con la sicura e quella di sinistra sbloccata. Il finestrino anteriore destro è rotto ed i vetri giacciono sul sedile corrispondente che è reclinato. Il corpo del ragazzo, raggiunto da quattro colpi di arma da fuoco e da quattro colpi da arma bianca inflitte post mortem, giace supino inclinato sul fianco destro a circa tre metri dalla ruota anteriore dell’auto. Ha calzini e slip e pantaloni infilati solo dal lato sinistro, ha ancora la camicia con vistose macchie ematiche a V che indicherebbero una posizione differente al momento della morte, rispetto a quella assunta al momento del ritrovamento del cadavere. Ha segni di trascinamento sul corpo. Susanna Cambi si trova invece dalla parte opposta, rispetto al fronte dell’auto, ad alcuni metri all’interno del campo che costeggia il viottolo. Indossa una gonna e slip lacerati sul davanti, maglietta e reggiseno sollevati fino alle ascelle. E’ stata raggiunta da sei colpi – alcuni mortali – di arma da fuoco e post mortem da due colpi di arma bianca (con le stessa caratteristica tacca lungo la lama affilata già descritta dal medico legale dopo il duplice omicidio di Scandicci) al torace e, come a Scandicci, ma in modo molto più grossolano e interessando una zona molto più vasta del corpo, le è stato asportato il pube, parte del perineo fino ad interessare la parte interna alta della coscia.
Delle asportazioni sono visibili solo le tracce: il mostro ha portato via con sé le parti anatomiche mutilate alla ragazza. I bossoli rinvenuti furono sette, tutti di marca Winchester con lettera H impressa sul fondello esplosi dalla stessa Beretta Calibro 22 di Scandicci e Borgo San Lorenzo. La stessa di Signa del 1968, ma per gli inquirenti di allora, anche in questo caso, la memoria non andò all’omicidio Locci/Lo Bianco. Il medico legale Maurri dichiarerà che i ragazzi con ogni probabilità erano stati uccisi quando si trovavano ancora all’interno dell’abitacolo dell’auto ed in procinto di iniziare un rapporto sessuale. Probabilmente il primo a subire i colpi a fuoco è il ragazzo che nell’atteggiamento di guardare verso il finestrino destro a causa di movimenti o rumori sospetti, viene colpito per due volte al volto. Il corpo ruota verso il sedile di sinistra dove riceverà i due colpi mortali all’emitorace e si posizionerà con il bacino a contatto con l’interno dello sportello di sinistra (questo giustificherebbe le macchie di sangue sul vetro del finestrino). La ragazza riceve i colpi mortali sul sedile reclinato di destra. A questo punto l’assassino sceglie di estrarre i corpi dal lato del guidatore. Il corpo di Stefano ruota verso l’esterno e subisce le due coltellate alla schiena ed al collo e trascinato nel fossetto laterale, la ragazza, con evidenti tracce di trascinamento, adagiata, quasi seduta all’interno di un canale di scolo delle acqua alcuni metri all’interno del campo sul lato opposto rispetto alla posizione del ragazzo.
Sulla scena del crimine furono repertate alcune impronte di scarpone da caccia taglia 44 che in modo meno evidente si presentavano fin dall’inizio del viottolo, raggiungevano l’auto e si ripresentavano in modo più marcato, a cinque metri dalla parte anteriore della golf in direzione opposta a Via dei Prati. Inoltre, fu rinvenuta a pochi metri dall’intersezione tra Via dei Prati ed il viottolo, una pietra di basalto con parziali tinteggiature di rosso. Sia sotto le unghie di Stefano Baldi che nella mano di Susanna cambi furono ritrovati ciuffi di capelli neri, purtroppo successivamente spariti dai reperti. Le indagini passano dalle competenze di Prato a quelle di Firenze perché ormai è chiaro che il Mostro è tornato a colpire. Sarà proprio Mario Spezi a coniare il termine facendo calare un’intera provincia in un caos emotivo ancora tangibile nelle parole degli abitanti delle colline e dell’hinterland fiorentino.
Dopo il Giovannini, primo fermo di Borgo San Lorenzo, gli inquirenti sono costretti a far uscire dal carcere anche il secondo “falso” mostro Spalletti, senza perdere la convinzione che l’autista di ambulanze di Scandicci non poteva, come continuò fermamente a ribattere durante i quattro mesi di carcere, non ricordare o non avere informazioni utili alle indagini.
Il Giudice Istruttore Tricomi lanciò l’allarme del serial killer alle questure italiane ed all’interpol pregando di fare verifiche se in altre zone del paese si fossero verificati simili episodi di violenza, il giudice istruttore di Prato Palazzo ricorse addirittura alla consulenza di una sensitiva di Scandicci, il Pubblico Ministero Izzo consigliò ufficialmente ai giovani fiorentini di prestare attenzione. Le istituzioni brancolavano nel buio e Firenze reagì di conseguenza. Centinaia di segnalazioni arrivarono alle forze dell’ordine ed ai giornali. Ognuno si creava il proprio mostro, molti cittadini presero alla lettera le indiscrezioni sulla fantomatica abilità dell’assassino a recidere il pube delle ragazze e i medici furono i più considerati degni di segnalazione. La Procura dovrà in più occasioni bloccare il circolare di voci incontrollate pur di tutelare l’integrità morale, ma anche fisica, di alcune personalità cittadine accusate senza alcuna fonte di essere i maggiori indiziati. Firenze, le sue colline, la sua provincia cadono in una psicosi che porterà psicologi e psichiatri ad esprimersi in materia soprattutto relativamente alle libertà sessuali dei giovani ed ai tabù dei genitori invitati ad uscire di casa per consentire ai ragazzi di rimanere da soli in intimità all’interno delle mura domestiche.
Lasciamo a questo punto Calenzano ed il greto del torrente Marina per iniziare un nuovo viaggio lungo otto mesi verso Montespertoli, località Baccaiano, sempre vicino ad un altro, l’ennesimo corso d’acqua, il Virginio. Sarà proprio a Baccaiano, lungo quella strada denominata Via Virginio Nuova, dove il mostro rischierà maggiormente, dove la follia omicida dell’assassino si esalterà in un’ auto considerazione di onnipotenza che lo porterà ad iniziare un gioco di sfide dirette sia alle forze dell’ordine che ai più alti livelli della magistratura.
P.S. Dopo il racconto di Scandicci vi avevamo parlato della separazione tra Rosa Massa e Salvatore Vinci avvenuta nella seconda metà del 1980 e che seguiva a un ricovero volontario dello stesso Vinci a Santa Maria Nuova presso la Clinica malattie nervose e mentali dal 29 aprile al 7 maggio 1980 (diagnosi trascritta nella cartella clinica del medico curante: “…scompenso ansioso depressivo in personalità chiusa poco incline al colloquio…”). La separazione ufficiale, però, seguiva un’altra separazione già avvenuta nella primavera del 1974, quando Rosa Massa decise di tornarsene in Sardegna stanca, a suo dire, della vita con Salvatore. Nel 1980 succede inoltre un fatto curioso: Antonio Vinci, rientrato a Firenze, frequenta nuovamente la casa del padre in via Cironi. Durante lo stesso anno avverrà un fatto che segnerà la definitiva rottura tra padre e figlio: Salvatore troverà in atteggiamenti intimi suo figlio con una ragazza che prestava servizio presso l’abitazione; la cosa manderà su tutte le furie il padre che intimerà al figlio di lasciare la casa in massimo 30 minuti. La ragazza, nel periodo precedente al fatto, avrebbe rifiutato le avances di Salvatore, a quanto si dice invaghitosi di lei, concedendosi, invece, al figlio più vicino in termini di età.
Una piccola curiosità: nell’autunno del 1981 esce nelle sale cinematografiche il lungometraggio Maniac, una film horror alla stregua dei molti che in quegli anni venivano prodotti dalle case di produzione. Come inizia il film? Un serial killer uccide una coppia di ragazzi appartati nei pressi del Ponte da Verrazzano mentre stanno facendo l’amore; il killer dopo aver sparato alla coppia, porta via con sé un feticcio, lo scalpo della ragazza uccisa, per poterlo far indossare a manichini che conserva in casa. Le rubriche televisive iniziarono a promuovere il film la prima settimana di giugno del 1981 proiettando come trailer proprio la scena del Ponte da Verrazzano. A Firenze Maniac fu proiettato per la prima volta per intero al cinema teatro Nazionale dal 15 ottobre al 22 ottobre 1981.
Il racconto è frutto di ricerca e di colloqui con persone, di cui non crediamo giusto rivelare l’identità, che ci hanno fornito, con un ancora vivo imbarazzo, elementi emozionali più che di verità storica. Siamo convinti che i luoghi parlino e che ancora abbiano molto da dire ed è per questo che non ci avventureremo in campi di non nostra competenza, ma cercheremo di far rivivere questa vicenda partendo proprio da chi l’ha già con serietà studiata e facendovi fare ciò che noi abbiamo già fatto: un viaggio nel tempo attraverso città, paesi, colline, strade di campagna, testimoni del più grande caso di cronaca nera italiana. Qualora notaste errori o imperfezioni o vi sentiste in qualsiasi modo in dovere di intervenire, noi siamo qua, pronti a darvi voce.
Andrea Ceccherini
Katiuscia Vaselli
Questo lavoro, l’intero lavoro di ricerca, è dedicato a Mario Spezi. E’ stato lui, con le sue parole, a convincermi ad andare avanti senza paura, insieme alla curiosità e alla voglia di verità che mi ha trasmesso anche l’amico d’infanzia Andrea Ceccherini: sua l’idea iniziale, suo il contributo più curioso e attento. Ci sembra che la ricostruzione fatta a modo nostro, diversa da tutte le altre, attenta ad altri dettagli, stia interessando tutti voi lettori e comunque vi chiediamo, se vorrete, di portare i vostri contributi e le vostre opinioni.
Grazie, Mario.
K.
Fonti: Storia delle merende infami, Nino Filastò
Dolci Colline di Sangue, Mario Spezi, Douglas Preston
Mostro di Firenze – Al di là di ogni ragionevole dubbio, Paolo Cochi, Michele Bruno, Francesco Cappelletti
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