A Bologna palazzo Fava riparte con Opera Laboratori: sotto le Due Torri la mostra internazionale di Ai Weiwei

Più di cinquanta opere in bilico tra il presente ed il passato, tra la Cina e l’Occidente, che toccano istanze urgenti come la libertà di espressione e di informazione, i diritti umani e civili, le migrazioni, le crisi geopolitiche, i cambiamenti climatici, invitandoci a riflettere su temi universali come la libertà, la giustizia, la memoria e la resilienza.

Così si muove “Ai Weiwei. Who am I?”, che a palazzo Fava, dal 21 settembre al 4 maggio, a Bologna porta i capolavori di uno dei più grandi artisti internazionali attuali, da sempre impegnato nella difesa dei diritti umani. La mostra, di caratura globale, segna anche l’esordio di Opera Laboratori nella valorizzazione e nella promozione del patrimonio artistico e culturale emiliano. La holding ha siglato qualche mese fa un accordo che ha dato il via ad un percorso di quattro anni con Fondazione Carisbo, per la gestione dei musei di Genus Bononiae.

L’esposizione del maestro asiatico è realizzata da Opera Laboratori con il supporto di Galleria Continua. La cura è affidata a Arturo Galansino. La mostra, il cui titolo è ispirato ad una conversazione dell’artista con l’intelligenza artificiale, racconta una tensione continua tra sperimentazione e tradizione. A completare il tutto anche un catalogo e di una linea di merchandising dedicata, realizzati dalla casa editrice Sillabe.

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La personale di Ai Wewei “manifesta il rinnovato impulso che la Fondazione Carisbo ha voluto imprimere al progetto Genus Bononiae”, ha osservato Patrizia Pasini, presidente della Fondazione Carisbo. “La durata pluriennale dell’accordo con Opera Laboratori testimonia la volontà di costruire una partnership che esula dallo schema classico committente/gestore, promuovendo una nuova visione di museo come autentico centro di produzione e non più soltanto inteso come luogo da visitare”.

“Ad ormai vent’anni dalla nascita del progetto – aggiunge l’amministratore unico di Genus Bononiae, Renzo Servadei – la selezione di un partner specializzato qual è Opera Laboratori consentirà una gestione integrata e sinergica dei palazzi, realizzando un indirizzo organizzativo in grado di valutare l’impatto delle iniziative promosse nei vari plessi e perseguire la sostenibilità sociale, economica e ambientale dell’intero percorso museale, in costante dialogo con la ricca offerta culturale già presente sul territorio”.

“Opera Laboratori – spiega il presidente e ad Giuseppe Costa – ha sempre orientato la sua mission verso il desiderio di “Lavorare ad arte per l’arte”, con l’obiettivo di prendersi cura degli ospiti e di promuovere il patrimonio culturale, spirituale, territoriale e museale italiano. La nostra essenza ci spinge a vivere al meglio le esperienze nei territori in cui operiamo, conoscendo e rispettando ciò che abbiamo il privilegio di custodire. Con questi ideali e principi, la Fondazione Carisbo e Opera Laboratori hanno siglato una partnership quadriennale per collaborare nel campo dell’arte e della cultura, con l’obiettivo di gestire e valorizzare quattro sedi del percorso museale Genus Bononiae, tra cui lo storico palazzo Fava. È per me un grande onore inaugurare questo grande progetto culturale nella Città di Bologna con l’esposizione dell’attivista e artista cinese Ai Weiwei”.

A miti greci e romani dipinti nei celebri cicli carracceschi si contrappongono le favole e le leggende della cultura cinese. Tra le storie di Giasone e Medea e le avventure di Enea che decorano le sale del piano nobile ci sono le sculture-aquiloni raffiguranti gli animali fantastici tratti dal bestiario del Classic of mountains and seas, il più antico testo mitologico e geografico cinese, risalente al III secolo a.C. Realizzate con bambù, carta di riso e seta. Creature mitologiche che fluttuano nello spazio, invitando ad una riflessione sulla storia e sull’antichissima identità culturale cinese, quasi spazzata via dalla Rivoluzione culturale, e portando ad un confronto con la Cina attuale che crea mostri per controllare la popolazione.

Alla cancellazione della memoria storica in Cina nella seconda metà del Novecento si riferisce anche l’iconico trittico fotografico Dropping a Han dynasty urn. A quest’opera si accompagnano la vetrina con i resti del vaso risalente a circa duemila anni fa e il ready made Han dynasty urn with Coca Cola, che, evocando al contempo Andy Warhol e Marcel Duchamp. “La maggior parte delle mie attività – spiega lo stesso Ai Weiwei – riguarda l’aggiornamento o la ridefinizione degli oggetti. Avevo questo vaso da un po’ e ne ammiravo la forma, ma non sapevo cosa farne. Sembrava così spoglio, così vuoto, e volevo renderlo più attuale: per me, il logo della Coca-Cola è un chiaro annuncio di proprietà e di identità culturale o politica, ma è anche un simbolo evidente del non-pensiero. È perciò ignoranza, ma è anche ridefinizione”.

Di antiche vestigia si compone anche l’installazione White Stones Axes, costituita da centinaia di asce neolitiche, che invitano il pubblico a riflettere su cosa significhi l’avanzamento della civiltà.

Anche Left right studio material denuncia la persecuzione subita dall’artista in patria. Questo tappeto blu è infatti composto da frammenti di opere in porcellana come Bubble provenienti dalla distruzione, ad opera del regime, dello studio Left/Right di Ai Weiwei a Pechino nel 2018.

Tra le opere esposte non mancano gli oggetti che ricordano il progresso della Cina negli ultimi decenni come la serie di installazioni Forever Bicycles, realizzate con biciclette assemblate in strutture complesse, che rappresentano una riflessione sul cambiamento sociale e urbano in Cina.

Un consistente gruppo di opere in mostra è dedicata al tema delle migrazioni nel Mediterraneo. La carta da parati Odissey, composta in fregi come vasi attici, rappresenta le difficili esperienze dei migranti e idealmente dialoga con i cicli di affreschi di palazzo Fava. Il parallelismo tra le vicende narrate nell’Eneide e le attuali crisi migratorie sottolinea la continuità dei temi dell’esodo dalle guerre e della ricerca di una nuova patria nella storia umana.

“Le mie cosiddette opere d’arte – racconta l’artista – sono tutte frutto dei miei pensieri e delle mie emozioni. Non mi pento di averle create. Riflettono autenticamente i miei veri sentimenti e le circostanze in cui mi trovavo in quei momenti, strettamente legati con le mie esperienze e la mia educazione2.

Grandi protagoniste sono le opere composte da mattoncini Lego, che riprendono, mutandole ironicamente, alcune importanti opere della tradizione pittorica occidentale. Nel contesto della sua pratica artistica, Ai Weiwei ha adottato questo mezzo espressivo dal 2014 creando una nuova forma di linguaggio che, come precisa Galansino “si basa su pixel, digitalizzazione, segmentazione, frammentazione e disconnessione». Un approccio che permette di «esprimere il rapporto tra cultura, politica e ambiente personale in una nuova lingua, combinando sensazioni attuali e memoria culturale, e collegando la comprensione del passato con le aspettative moderne”.

In mostra diversi capolavori della pittura rinascimentale, barocca e moderna subiscono questa irriverente trasformazione, come la Venere dormiente di Giorgione (Gemäldegalerie alte meister di Dresda), a cui Ai Weiwei aggiunge una gruccia per ricordare gli aborti autoindotti prima della legalizzazione dell’interruzione di gravidanza o l’Ultima Cena di Leonardo da Vinci (chiesa di Santa Maria delle Grazie, Milano), dove il personaggio di Giuda ha le fattezze dello stesso Ai Weiwei. Direttamente ispirate alla tradizione pittorica bolognese e realizzati espressamente per la mostra a Palazzo Fava, sono invece gli ironici rifacimenti dell’Atalanta e Ippomene di Guido Reni (Museo e Real Bosco di Capodimonte, Napoli), dell’Estasi di Santa Cecilia di Raffaello (Pinacoteca Nazionale di Bologna) e di una Natura Morta di Giorgio Morandi (Pinacoteca di Faenza).

Nella serie di fotografie Study of Perspective, emerge la volontà dell’artista di porre delle domande anziché fornire delle risposte univoche, invitando alla discussione e al dibattito.

“Attraverso la sua arte – conclude il curatore Arturo Galansino – Ai Weiwei ci incoraggia a guardare il mondo tenendo gli occhi aperti e a non accettare passivamente la realtà che viviamo, trasformando l’esperienza artistica in un potente strumento di cambiamento e consapevolezza. L’impegno e la costante ricerca della verità, che l’hanno portato ad essere un attivista e perseguitato politico e a parlare ad una platea molto più ampia del ristretto mondo dell’arte contemporanea, combinati alla sua vasta gamma espressiva messa al servizio di idee coraggiose e provocatorie, fanno di Ai Weiwei uno degli artisti più influenti del nostro tempo. In un momento storico difficile come quello che stiamo vivendo, il suo lavoro e il suo messaggio continuano a sfidare e ispirare il pubblico, ribadendo l’importanza della creatività e del pensiero critico”.