Percorrendo le due file parallele di cipressi è possibile intravedere lentamente lo scorcio del campanile che si staglia alto nel cielo. E pare che si metta in competizione con le punte dei cipressi, i quali riescono a tener testa alla torre fino a che la prospettiva gioca a loro favore.
Ed è proprio qui, nella zona dove la Val d’Orcia si intreccia con la Valdichiana, che il giorno 15 settembre 1518 venne posta la prima pietra del tempio di San Biagio.
L’armonia architettonica del tempio è stupefacente, sembra infatti l’amplificazione di un modello in legno la cui maestosità viene ingrandita a dimensione di una cattedrale. Come se la pietra che la compone si fosse sostituita al legno del progetto in scala per espandersi in bellezza allo stato puro.
Il “plastico” presentato da Antonio da Sangallo fu approvato dal Consiglio di Montepulciano il 14 maggio del 1518. A esattamente 4 mesi di distanza venne posta la prima pietra. Il risultato è un santuario di grandissime dimensioni, che rimangono comunque adeguate alla misura della città di Montepulciano, destinata, in quegli stessi anni, ad una forte crescita. Lo stesso tempio viene inquadrato all’interno della sperimentazione architettonica del cinquecento, testimoniata dalle parole dello storico dell’arte Giulio Carlo Argan, il quale conferma che San Biagio non è un organismo di corpi curvi, ma un incastro di volumi squadrati.
Nel complesso, San Biagio risulta un’eccezionale sintesi fra scienza e miracoli e ciò ha sicuramente partorito un capolavoro.
Questa imponente e bellissima chiesa fu edificata sopra un’antica pieve medievale dedicata prima a Santa Maria e successivamente, intorno all’anno Mille, a San Biagio, un vescovo di origine armena che veniva interpellato dai fedeli per la sua esperienza di medico per la cura di mali fisici.
Dell’originaria costruzione sacra, all’inizio del Cinquecento, restavano soltanto il rudere della torre campanara e un brano d’affresco raffigurante la Madonna col bambino e San Francesco dipinta da Maestro di Badia a Isola. Proprio da questo quadro iniziò una serie di eventi miracolosi che indussero la Comunità a dare avvio a quell’impresa che tutt’oggi possiamo ammirare.
Il 23 aprile di cinquecento anni fa due fanciulle di nome Antilia e Camilla, mentre tornavano a casa dopo aver lavato i panni, videro la Madonna dell’affresco aprire e chiudere gli occhi in un movimento del tutto umano e naturale. Lo stesso giorno un pastore di nome Totò passando davanti al dipinto trovò uno dei suoi buoi inginocchiato sotto la santa immagine. Ma i miracoli non finirono qui. Dalle notizie del cardinale Roberto Nobili si racconta che: «defonti recuperarono la vita, si viddero ciechi illuminati, stroppi raddrizzati, ossessi liberati, sordi recuperare l’udito, muti la favella et altri infermi guariti».
Un ruolo importante per l’edificazione della chiesa venne portato avanti dal contadino Totò, che si impegnò tutta la vita in favore della costruzione del tempio. Infatti secondo un’altra leggenda Totò fu protagonista di un secondo evento miracoloso. Dubitando della fedeltà della moglie incinta le colpì la pancia con un pugnale. Dallo squarcio la minuscola testa del bambino si rivolse al padre per difendere la donna: «Fermati padre, sono tuo figlio».
Articolo e foto: Gabriele Ruffoli