La conferma, l’ennesima, si è avuta il 30 aprile. Siena è una città dove Matteo Renzi vince le elezioni a segretario nazionale del Pd con una marea di 2305 voti, circa il 75%, ma i renziani veri sono poche decine.
E’ il paradosso con cui Stefano Scaramelli e la sua pur compatta e attiva squadra di sostenitori – che pure ci mettono impegno sincero e inesausta passione – vanno sempre a sbattere fin dal 2013: non riuscire a pescare consensi dai serbatoi a tenuta stagna dei voti ceccuzziani e monaciani – che restano fedeli ai loro leader – e non trovare la chiave per portare dentro al Pd forze fresche e nuove in numero sufficiente per poter vincere i congressi. O, almeno, a diventare determinanti.
Lo si vide già nel 2013, subito dopo le elezioni comunali, quando Gianni Porcellotti si candidò a segretario comunale del partito – in verità un po’ troppo all’ultimo minuto – ma finì soltanto terzo dopo i fedelissimi “scudieri” Alessandro Mugnaioli e Alessandro Pinciani.
La svolta sembrava a portata di mano quando Scaramelli lanciò i Comitati del Sì al referendum costituzionale del 4 dicembre, cogliendo quell’occasione di possibile cambiamento istituzionale, per aggregare persone nuove attorno al PD ed al renzismo dominante, da far poi confluire nel partito e ribaltare finalmente i rapporti di forza. Ma anche in quell’occasione, non riuscì ad andare oltre le buone intenzioni. I Comitati del Sì non decollarono – né a Siena, né in altre parti d’Italia – e la sconfitta al referendum spense i pur modesti entusiasmi che avevano acceso.
E questo è, alla fine, il motivo per cui Matteo Renzi non si è mai voluto occupare del partito della città, nonostante le richieste, le sollecitazioni, gli appelli dei turbo-renziani senesi. Perché senza avere i numeri fra gli iscritti del partito (e, pochi, in verità anche fuori dai confini del Pd), Renzi si è sempre reso conto che l’alternativa era fra intervenire e rimanere sconfitto anche lui, oppure commissariare il partito e distruggere, con conseguenze non prevedibile, la forza che ancora il Pd mantiene grazie ai due gruppi dominanti. Meglio allora vincere, anzi stravincere, le elezioni a segretario, sia pure con una lista a sostegno in cui di renziani veri ce n’era uno (Juri Bettollini, sindaco di Chiusi, che è però forse più corretto definire scaramelliano-renziano), mentre Simone Vigni e Raffaella Senesi erano espressione dei ceccuzziani-renziani e dei monaciani-renziani. Del resto alcuni turbo-renziani non hanno nascosto il loro imbarazzo (diciamo così) ed hanno dichiarato di votare Renzi, non certo di coloro che lo andranno a rappresentare in assemblea nazionale.
E non sta avendo migliore sorte il tentativo di Stefano Scaramelli – in vista del congresso cittadino del Pd e delle elezioni comunali – di far nascere associazioni e gruppi di ispirazione turbo-renziana per avere finalmente iscritti e voti da mettere sul tavolo. Le sigle sono tante, ma i nomi coinvolti finiscono per essere sempre gli stessi.
Roberto Guiggiani
(10 – continua)