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Achille Sclavo e la lotta alla tubercolosi

Achille Sclavo, nonostante l’ottima preparazione e la notevole abilità sperimentale, fu molto lontano dallo stereotipo dello scienziato.

Achille Sclavo, nonostante l’ottima preparazione e la notevole abilità sperimentale di cui si è parlato (nei precedenti due articoli, ndr che ritrovate qui e qui), fu molto lontano dallo stereotipo dello scienziato, chiuso tra le quattro mura del suo sapere specialistico. Ne è prova quanto scrisse sulla questione dei sanatori nella sua relazione al Congresso nazionale per la lotta sociale contro la tubercolosi tenutosi a Firenze nel 1909.
E’ un’analisi accurata e approfondita dei problemi socio-economici che occorreva risolvere per estendere alle classi popolari il beneficio di queste istituzioni, nate dal definitivo accertamento della natura microbiologica dell’infezione tubercolare e riservate, all’inizio, alle sole classi abbienti. Sclavo, infatti, vi da prova di possedere una mente sistematica: vale a dire, capace di coniugare la conoscenza scientifica alla consapevolezza dei costi e delle condizioni pratiche da affrontare.
Egli si dedicherà per tutta la vita al problema della lotta a questa malattia, che solo la scoperta degli antibiotici ha consentito di eradicare, ma che, prima di allora, costituiva uno spettro terribile, del quale i finali di alcuni melodrammi paiono quasi nobilitare l’esito.

Eurialo e Niso, i ciuchi da cui fu ricavato il siero anticarbonchioso

Uno degli aspetti che più influenzava i costi di costruzione (e soprattutto di gestione) dei sanatori era quello dell’altitudine, che, secondo un’opinione corrente, doveva necessariamente essere elevata. Scrive, in proposito, Sclavo: ‘Ma è proprio necessario raggiungere i mille e più metri di altitudine per trovare il clima specifico per i tubercolosi? Molti lo affermano e altri più numerosi lo credettero a lungo. Fu specialmente in Svizzera bandito il nuovo aforisma e ciò valse a dirigere colà da ogni parte del mondo un gran numero di tubercolosi, i quali determinarono lo sviluppo in certe località di una grande e fruttifera industria ospedaliera’.

(Gioverebbe, in proposito, ricordare il grande romanzo di Thomas Mann: ‘La montagna incantata’)
Prosegue, Sclavo: ‘Noi fummo i più creduli al verbo d’oltralpe e, quasi tutti rassegnati, assistemmo ai danni dell’improvviso tramonto di una secolare reputazione goduta dall’Italia, che essa cioè presentasse in vari luoghi delle sue ridenti e luminose costiere vantaggi particolari per la salute dei malati di petto’.


Sclavo mostra che ben altro che l’altitudine può giovare agli ammalati, e che i notevoli investimenti e le alte spese di gestione richiesti dalla costruzione di ospedali in regioni impervie o lontane dai grandi centri possono trovare migliore e più economica destinazione in altre forme di assistenza ai tubercolosi. Ad esempio, afferma Sclavo: ‘…nella maggior parte dei Sanatori per ammalati, i quali devono passare la maggior parte del loro tempo all’aperto, nulla fu tralasciato per offrire tutti i comodi dell’abitazione. Dai grandiosi refettori si passa alle sale di conversazione e ai saloni per trattenimenti musicali’. Poi soggiunge: ‘Una splendida giornata di sole e un bel panorama, quali è facile godere in molte campagne, valgono a vivificare lo spirito non meno, io credo, di tutti i mezzi di cui l’arte può arricchire un Sanatorio’.


Allo spirito pratico di Sclavo non sfugge la soluzione empirica adottata dall’ospedale di Cambridge:
tenere in permanenza i letti dei tubercolosi sotto a vecchi portici dell’ospedale. Al freddo si provvede con borse di acqua calda e alla pioggia; con coperte impermeabili, se cade a vento,. Parrebbe una sistemazione spartana, ma – osserva Sclavo – per niente sgradita ai pazienti, che talora non vogliono più saperne di entrare nelle corsie comuni.
L’avversione di Sclavo per il superfluo e la vanità di ogni pompa è una caratteristica costante del suo carattere, che influenzerà tutta la sua famiglia e i suoi allievi. E’ sicuramente il frutto di un’educazione scientifica che si avvale della ragione e induce ad andare al nocciolo dei problemi, ma anche di una caratteristica dell’ambiente austero in cui crebbe e della gente della sua terra, oltre a studi universitari di Medicina, dai quali ci sarebbe ancora da imparare.
Basti dire che all’esame di laurea non gli fu chiesto solo di discutere la tesi, ma anche di provare la sua abilità di chimico, sintetizzando in laboratorio un’amina aromatica.

laurea Sclavo (1886)

Chi, come me, ha insegnato Chimica in una Facoltà di Medicina non mancherà di stupirsi che nel 1886 a un giovane medico si richiedesse una simile abilità, mentre oggi i moderni studenti considerano formule e reazioni come uno spettro, da cui fuggire quanto più rapidamente possibile: salvo poi far scontare ai loro futuri pazienti gli effetti negativi di questa loro carenza di preparazione di base.

Paolo Neri

Katiuscia Vaselli

Nata nel cuore di Siena, giornalista e contradaiola fervente. Ora Capo-redattorice di Siena News e Presidentessa di Dinamo Digitale.

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