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Al passo della Diana

Quando cessano tutti i clamori del Palio, che in realtà non cessano mai del tutto, perché sono come un cuore che batta eternamente, ma si smorzano se mai in una segreta, fervida pulsazione, è possibile udire nei luoghi riposti della città, al silenzio che nottetempo tenta di comporsi, il rombo lontano della Diana: il fiume sotterraneo dal nome femminile – come femminile è il nome di Siena – e divino, perché suona come quello della Dea delle foreste, delle creature selvatiche, delle fonti e dei torrenti.

I tamburi sospendono il rullìo che dà il passo ai monturati, e l’altro rullìo, quello delle acque secluse nel sottosuolo di Siena, si fa percepibile agli orecchi di chi crede, o sa, che nel grembo sottostante ai popoli delle contrade scorre un fiume, dalla forma forse diramata in molti rivi, non allineato in un corso continuo per quanto tortuoso, ma tessuto nell’intreccio di varie fonti, che occhieggiano verso la superficie tramite pozzi profondi, ritrosi bottini. Un fiume-donna, che si nasconde come una Dea agli occhi profani.

Una notte, un ragazzo volle tentare di inseguire la Diana. Si pose fuori Porta San Marco, nel luogo dove si dice che debba emergere, e attese. Era innamorato di quella presenza invisibile, ed era certo di averne udito almeno una volta il canto smorzato, come di recluso. La notte passava sopra il suo capo, sopra la sua solitudine. Ed ecco che poco prima del tramonto delle stelle, un suono parve spingersi dalla terra verso l’aria bruna. Era impossibile capire da quale punto sorgesse: sembrava affiorare da tutta l’estensione della città.

Il ragazzo era pronto a dare un balzo, ad avviare una corsa verso il primo scintillio di acque o di incarnato muliebre che si fosse improvvisamente offerto alla sua vista. Quel suono prese corpo alle sue spalle: grazie a una percezione, egli si voltò. Una forma scaturiva dal suolo, rapidamente: un getto, una vampa; argentea, dorata, limpida e cupa insieme; gli parve una stella cadente che anziché precipitare dall’alto sgorgasse dal basso. Prima che si dileguasse, assunse fattezze di donna, nuda e vestita di correnti spumose, crepitanti e sonore. Eppure, era avvolta di silenzio. Corse, si tuffò nei recessi ombrosi della città notturna; vi sparì.

Il ragazzo non fece in tempo a darsi all’inseguimento. Attese ancora, fino al chiudersi della notte. Fino al momento in cui, col giorno, si riudirono i tamburi.

Andrea Laiolo

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marco crimi

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