Che cosa è e come si affronta la paura persistente e ingiustificata dei baci?
La philematophobia indica una fobia specifica, o monofobia, basata sul timore di baciare. Talvolta accompagnata dalla philopobia, cioè dal timore di innamorarsi, la paura di baciare può presentarsi a diverse fasce di età e in entrambi i generi sessuali. Chi ne soffre può avere il timore di non essere bravo a farlo, dello scambio di germi o dell’alito cattivo.
Quali sono i principali sintomi? Sebbene alcuni varino da persona a persona, in quasi tutti si riscontrano alti livelli di ansia che possono condurre al panico, la tendenza a respirare velocemente, battito cardiaco irregolare e generalmente accelerato, sudorazione, nausea, bocca asciutta, incapacità di articolare parole o frasi e una spiccata attivazione psicomotoria. Sebbene in una esigua minoranza di soggetti siano stati individuati specifici eventi scatenanti, quali traumi pregressi avvenuti in nefasti flirt amatori, nella maggior parte dei casi, come del resto per le altre forme di paure patologiche, nessun evento specifico sembra aver innescato il meccanismo che ha portato alla patologia. Noi esseri umani, in altre parole, siamo il risultato di tutta la nostra vita e, come possiamo ben comprendere, le variabili sono molteplici e talvolta non chiaramente identificabili. Da questo punto vista, l’origine della paura di baciare non può essere ricondotta a strutture fisse di personalità. Dalla mia prospettiva, tipica
dell’approccio Strategico, il comportamento infatti non deriva né da qualità caratteriali biologicamente innate, visione propria della psichiatria-organicista, né da impronte difficilmente modificabili, impresse dalle esperienze maturate nel corso dell’infanzia, come sostiene la psicoanalisi. Come si può dunque strutturare questa particolare paura, spesso accompagnata da forte insicurezza se non una quasi totale assenza di fiducia? Per rispondere a questa domanda dobbiamo far riferimento al costrutto di Sistema Percettivo-Reattivo come definito dal mio maestro Giorgio Nardone. Di che cosa si stratta? Di un individuale sistema di percezione e di reazione nei confronti
della realtà che varia da individuo ad individuo e che assume configurazioni diverse a seconda del sistema di relazioni in cui ogni soggetto viene inserito. Evitando di entrare in tecnicismi, potremo dire che la philematophobia si origina dalla paura di baciare e chi la sperimenta, nel tentativo di controllare le reazioni psicofisiologiche che tale paura innesca, perde il controllo e tenderà a evitare ogni situazione che potrebbe condurre al bacio. Ovviamente, più il soggetto metterà in atto azioni volte ad evitare i tanto temuti baci, più il baciare stesso diventerà fonte di terrore, fino a tal punto da poter condurre al panico. Per comprendere a pieno questo disturbo sui generis dobbiamo considerare anche l’influenza che, oltre all’evitamento, hanno altre tentate soluzioni fallimentari.
Queste, messe in atto da chi soffre del disturbo con l’intento di risolverlo, conducono spesso ai peggiori risultati. Tra queste, il tentativo, talvolta ossessivo, di ricercare il bacio perfetto. Navigando nel web possiamo rilevare blog dedicati all’argomento, app da scaricare sul proprio smartphone e addirittura video tutorial volti a insegnare il bacio perfetto. Questa ricerca ossessiva della perfezione, essendo la perfezione stessa estranea a ogni evento naturale, non fa che aumentare i livelli di insicurezza e incrementare lo stato di ansia che a sua volta inibirà un comportamento che
dovrebbe essere spontaneo. In che modo possiamo risolvere questo problema talvolta fonte di un vero e proprio handicap relazionale? Come per altre forme di fobia specifica le terapie farmacologiche proposte si sono rilevate inefficaci, a differenza della psicoterapia che, se incentrata sulla ricerca di soluzioni e non delle cause, ha portato ad ottimi risultati. Il primo passo è quello di bloccare le tentate soluzioni fallimentari, per poi stimolare nel soggetto esperienze che inducano a cambiare la percezione del problema e gli facciano scoprire e adottare soluzioni efficaci al
problema stesso, in modo da cambiare stabilmente la loro concezione di sé stessi e del mondo. Una cosa, in generale, è certa: evitando di sperimentare e sperimentarsi non corriamo rischi ma, al contempo, ci creiamo una gabbia che inizialmente ci protegge ma, a lungo termine, ci imprigiona.
In altre parole, come sosteneva Seneca, “non è perché le cose sono difficili che non osiamo, è perché non osiamo che sono difficili”.
Jacopo Grisolaghi
Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo e Dottore di Ricerca in Psicologia
Psicoterapeuta Ufficiale del Centro di Terapia Strategica