La paura dei rettore dell’Università di Siena e di quello dell’Università per Stranieri di Siena Roberto Di Pietra e Tomaso Montanari è che “l’indebita applicazione del regime custodiale chiuso” imposto attraverso una circolare dello scorso 27 febbraio dalla Direzione generale dei detenuti e del trattamento del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria “possa compromettere un’esperienza pilota d’eccellenza”: quella del polo universitario penitenziario del carcere di San Gimignano.
I vertici dei due atenei lo hanno esplicitato chiaramente in una lettera inviata alla direzione dell’istituto, trasmessa anche ai Ministeri dell’Università e della Ricerca, al capo dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria e al Garante dei diritti delle persone private della libertà personale.
Nella missiva si chiede il ripristino del regime custodiale aperto, in attuazione dell’ “Accordo di collaborazione per la gestione del Campus Universitario per studenti detenuti”, sottoscritto a dicembre del 2023.
Nella circolare del Dap, si spiega, viene prevista che nei carceri ad alta sicurezza, come appunto Ranza, “l’applicazione indiscriminata e generalizzata del “regime custodiale chiuso” – recita una nota – . In base al quale, si legge nella missiva, «i detenuti devono rimanere serrati all’interno delle loro celle (sarebbe improprio continuare a chiamarle “camere di pernottamento”) per non meno di sedici ore al giorno, senza minimamente considerare che le sezioni maggiormente interessate da eventi suicidiari sono quelle a custodia chiusa, con 64 casi nel 2024 (pari al 77,11 per cento)»”.
Una misura definita nella lettera come un «castigo nel castigo, disumano per i detenuti, peggiorativo delle condizioni lavorative degli operatori penitenziari e controproducente sul piano della sicurezza sociale».
Poi i rettori sottolineano che il regime custodiale chiuso “non debba trovare applicazione all’interno del “Campus universitario per studenti detenuti istituito presso la casa di “esclusione di San Gimignano”, poiché ciò comporterebbe la violazione dell’accordo istitutivo del campus penitenziario il quale, all’articolo 5, espressamente stabilisce che «il regime che viene adottato è quello aperto», così come ribadito dallo stesso Regolamento interno della casa di reclusione di San Gimignano – approvato anche dal Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria – che all’articolo 27 bis ha disciplinato in dettaglio il regime aperto all’interno delle due sezioni che costituiscono il Campus universitario”.
Il Polo penitenziario, scrivono Di Pietra e Montanari, «ha prodotto risultati in parte insperati e di cui siamo orgogliosi. Oggi, la casa di reclusione di San Gimignano è l’istituto penitenziario italiano con la più alta percentuale di persone detenute iscritte all’Università; nell’ultima sessione di aprile, tre di loro hanno brillantemente conseguito la laurea, ferma restando la piena consapevolezza che i frutti più preziosi delle attività svolte dall’Università e da tutto il personale dell’Istituto (direzione, educatori e polizia penitenziaria) sono “invisibili”, non direttamente misurabili in dati numerici o statistici».