Il giardino delle Scuderie Reali, che corona l’edificio ottocentesco voluto dai re d’Italia all’epoca di Firenze capitale e oggi sede dell’istituto d’Arte, conduce, attraverso erte ed assolate viuzze profumate da lecci, bagolari, cipressi, robinie, cedri del Libano, pini e ginko biloba, al quartiere di Bobolino ed ai grandi viali frutto della genialità urbanistica del Poggi. Affacciato su uno di questi, dai primi anni del Novecento, sorge il Convitto Ecclesiastico della Diocesi di Firenze, una struttura che ospita al suo interno sacerdoti anziani o malati o che semplicemente hanno interrotto, per raggiunti limiti di età, la propria attività pastorale ordinaria.
E’ piena primavera quando decido di attraversare la cancellata in ferro che introduce ai giardini del convitto per incontrare Sua Eminenza Reverendissima Monsignor Silvano Piovanelli.
Avevo tra gli appunti domande precise e dirette, riferimenti, citazioni, ma improvvisamente tutto cade, tutto si scioglie di fronte a quello spessore culturale che solamente pochi uomini, anche dopo pochissime battute, riescono a trasmettere.
Sua Eminenza Piovanelli ha rappresentato per Firenze un solido punto di riferimento; fin dall’inizio della sua missione pastorale nei quartieri, periferici, di Rifredi e di provincia quale Castelfiorentino, ha con forza voluto unire i fermenti politici del dopo guerra ad un’idea di comunità coesa al di là dei differenti credo. Fare il prete negli anni Cinquanta, accanto alle fabbriche, significava far sconfiggere i pregiudizi, presentarsi come pastore in contesti sociali che poi si sarebbero presentati solo formalmente ostili. Piovanelli ha compreso, una volta a Firenze, che la curia, nel rapporto con le persone, non poteva più contare sul pur sempre prioritario appoggio spirituale, ma si doveva occupare anche di assistenza amministrativa: nasceva così nell’arcidiocesi il primo esperimento di conduzione comunitaria: il primo consiglio pastorale parrocchiale.
Il cardinale, il vescovo della gente, il sacerdote della strada mantiene vivo quel senso di vera e salda istituzione, ferma e mai lontana dalla propria missione. A guida della curia fiorentina dal 1983 al 2001, Silvano Piovanelli, ha vissuto gli anni della Firenze di cui ultimamente ci stiamo interessando, il periodo del passaggio da tranquilla città lontana dai fermenti metropolitani a luogo in evoluzione mantenendosi culla dell’arte e della cultura italiana. I primi anni ottanta sono gli anni della scoperta di una nuova realtà che avvolge il capoluogo toscano e che si confrontano con l’esasperazione che, solamente l’abbinamento orrore-bellezza, è in grado di produrre. Una tra tutte è da ricondursi ai duplici omicidi del cosiddetto mostro che sconvolsero la provincia fiorentina tra il 1968 ed il 1985.
Per settimane i quotidiani locali continuarono a pubblicare, oltre alla cruda cronaca dei fatti, pareri di sociologi, di psicologi e psichiatri. La Firenze del mostro aveva scoperchiato il lato nero di una comunità che doveva affrontare, prematuramente per i tempi, il tema dei rapporti sessuali prematrimoniali, il concetto di libertà personale abbinato non più ad un controllo sociale diretto e spontaneo, ma anche a pazzi giustizieri della notte che nella follia punivano innocenti vittime di una società al limite tra provincia, nuova metropoli e comunque sempre riferimento per ogni forma di estetica rappresentazione.
“Si fa un gran parlare nelle cronache di queste giornate tristi di mostri, di follia, di feroce manìa; ma noi sappiamo bene che persino la follia non è insorgenza gratuita; la follia dell’uomo è come l’esplosione irrazionale e violenta di un mondo e di una società che ha smarrito troppi valori; che diventa ogni giorno di più nemica dell’uomo. Stasera siamo tutti testimoni muti di una delle più gravi sconfitte dell’uomo” con queste parole utilizzate all’interno dell’omelia, in occasione dei funerali di Antonella Migliorini e Paolo Mainardi il 22 giugno 1982, il Cardinal Benelli, si espresse sulla questione “Mostro di Firenze”.
“Non ricordo quale fu il motivo per cui l’allora vescovo di Firenze, cardinal Benelli, celebrò i funerali dei due ragazzi – dice Silvano Piovanelli – Personalmente e durante il mio episcopato non ricordo una città di mostri e pervasa dalla follia. Ricordo una comunità forte e salda che metabolizzava certi eventi come episodi da non esaltare, da non sottolineare. Firenze non era solamente ‘Il mostro’, era molto altro”.
Eppure il caso di cronaca nera più seguito e controverso della storia italiana era al centro dell’attenzione di media nazionali ed internazionali: “Ognuno fa il proprio mestiere- continua Piovanelli – ognuno si concentra su ciò che crede essere importante e nel caso dei media quella fu una vicenda a cui, forse, era giusto dare grande risalto, ma la mia missione era un’altra; era quella di stare tra la gente, accoglierne le angosce, comprenderne i bisogni e soprattutto non giudicare. Quando qualcuno giudica ha di per sé già emesso una sentenza, ha già troncato ogni forma di ragionamento prima che questo possa iniziare, sinceramente i bisogni della comunità fiorentina erano molteplici e la vicenda del mostro era solamente un brutto ed orrendo fatto di cronaca che non poteva comunque condizionare la più immanente quotidianità di allora”.
Quindi sarebbe meglio non parlarne? “Non dico questo, dico che non si può ricordare Firenze ed un periodo storico solo per un fatto di cronaca. Le persone hanno la capacità di superare i traumi e credo che Firenze sia stata capace di non accettare l’etichetta di città del mostro”
“Sono allibita finalmente ho avuto l’ opportunità di toccare con mano l’incapacità totale degli investigatori a seguire un filo logico nelle loro domande. (…) Noi non abbiamo niente da nascondere. Pacciani è stato assistito come tutti gli altri che seguiamo. Lui ha bisogno di questo tipo di assistenza: poveretto, non può più contare sulla moglie perchè gliel’ hanno presa e lo hanno ingannato, non facendogliela più trovare. (…) Pacciani è uno che crede, quindi ancora di più è doveroso dargli una mano”, questa fu la forte presa di posizione di Suor Elisabetta, assistente spirituale di Pietro Pacciani, a seguito della perquisizione a cui fu sottoposta da parte degli inquirenti; cosa ricorda di quel momento? “Non ricordo questo episodio – continua Piovanelli – rispetto a quello che mi sta raccontando ripeto quello che ho già espresso: giudicare è sempre sbagliato; la magistratura avrà ritenuto utile un simile intervento così come Suor Elisabetta può aver espresso una sua opinione dettata da valide motivazioni. Personalmente non ho molta memoria di questo episodio”.
Quindi durante il periodo in cui è stato a capo della curia fiorentina non è mai intervenuto, come il suo predecessore Benelli, sulla vicenda? “No, non sono mai intervenuto. Non era mio compito; ho sempre ritenuto opportuno stare tra la gente e non sottolineare i singoli fatti di cronaca. Credo nell’intimità del rapporto tra Chiesa e fedeli e non reputo giusto evidenziare episodi sull’onda del clamore mediatico. Ancora di più quando si parla di vicende fondamentalmente mai chiuse in via definitiva”.
Di fronte a tale solidità, cade, in chi intervista, ogni motivazione se non quella di apprendere, cercare di capire, avvicinarsi al pensiero di un uomo che solo nella disponibilità verso il prossimo e da sempre lontano da ogni forma di giudizio affronta i propri 92 anni con una giovinezza spirituale negli occhi da renderti appagato e sicuramente arricchito.
Andrea Ceccherini