“Tortura in concorso”: dopo una lunga camera di consiglio la sentenza è una scure che si abbatte sui cinque agenti di polizia penitenziaria a processo per il presunto pestaggio di un detenuto nel carcere di Ranza, San Gimignano. Condanne che vanno da sei anni a sei mesi a cinque anni e dieci mesi di reclusione, con sanzioni pecuniarie e risarcimenti che vanno molto oltre i 50mila euro a testa: si chiude dopo quasi cinque anni il caso del detenuto tunisino coinvolto in un pestaggio nel carcere di Ranza, a San Gimignano. Il giudice Simone Spina ha riconosciuto tra i capi di imputazione il reato di tortura in concorso per i cinque agenti di polizia penitenziaria.
La vicenda aveva avuto luogo l’11 ottobre 2018, quando durante un trasferimento di cella l’uomo, detenuto per spaccio, sarebbe stato picchiato. Le indagini avviate dalla Procura di Siena pochi giorni dopo avevano ravvisato il coinvolgimento di 15 persone. A febbraio 2021 dieci di loro erano stati giudicati colpevoli con rito abbreviato di reati minori.
Un precedente che come ha spiegato l’avvocato di quattro dei cinque imputati, Manfredi Biotti (nella foto di copertina), poneva le basi per un giudizio simile: “Non comprendiamo comunque il ragionamento dei giudici ma ne prendiamo atto. Di certo ricorreremo in Appello, e di certo questo è un segnale molto brutto se per un fatto del genere si scade in certi tipi di condanne vuol dire che nessuno di noi ha capito questa situazione”.
Michele Passione (nella foto, sopra), avvocato del garante nazionale detenuti si è detto invece “Ci sembra importante, fermo il doveroso rispetto alla presunzione di non colpevolezza è che abbia tenuto l’accusa di tortura con la sentenza che qualifica tutti i fatti contestati agli imputati in concorso per tortura, non sappiamo ancora perché non sia stato indicato – a differenza di quanto evidenziato in precedenza dal gup – che si tratta di reato proprio, quello commesso da pubblico ufficiale, che è la cosa più importante”.
“Una sentenza che delude le aspettative di questa difesa – ha detto il legale difensore di uno dei cinque agenti condannati – . Oggi c’è amarezza, ritenevamo che nel corso dell’istruttoria si fossero portati alla luce degli elementi tali da rimettere in discussione almeno il reato di tortura. Come succede nell’ambito di questi processi lasciamo la parola ai prossimi gradi di appello, noi cercheremo di percorrere tutti i gradi possibili”
K.V.
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