Sarà visitabile fino al 28 ottobre la mostra bibliografica su Carlo Cassola che si è aperta alla Biblioteca comunale degli Intronati (da lunedì a venerdì con orario 15-19 e sabato dalle 9,30 alle 13). È una delle iniziative organizzate in occasione del centenario della nascita (1917-2017) dello scrittore e consente di ripercorrere una produzione vasta e variegata. La mostra “Carlo Cassola. Il racconto del vivere”, curata da Roberto Nencini e Luigi Oliveto, è un omaggio non reso per dovere. Celebre fu la stroncatura lanciata dal Gruppo ’63, da Palermo, contro Cassola, Bassani e altri bei nomi di quei tempi. La narrativa di Cassola fu accusata di toni degni di Liala e declassata ad un provinciale localismo. A distanza di anni si può affermare che quella presa di distanza fu sballata. Cassola conquistò un vastissimo pubblico, anche su scala internazionale, con “La ragazza di Bube”, premio Strega 1960. Il titolo ha totalizzato ben 35 traduzioni. I mondi di un’umanità immersa in comuni angustie o alla ricerca di difficili riscatti, punto eroica e anzi alle prese con i problemi quotidiani, non era indagato affatto per amor di localismo e neppur gravato dalla tendenza al bozzettismo così prediletta in Toscana. Sullo sfondo si profilavano la lezione del giovane James Joyce o un vero entusiasmo per Thomas Hardy. E c’era una non sottintesa carica anti-ideologica, che era in contrasto con il neorealismo più politicamente impegnato. Cassola rivolgeva, invece, il suo sguardo al subliminale, alle motivazioni inconfessate, a quanto si agitava nell’animo di gente che non ambiva a nulla di straordinario. Ed era questa una via antitetica alle mode prevalenti. La sua Resistenza non ha nulla di oleografico o celebrativo. E per questa autenticità si attirò le critiche dei comunisti e dello stesso Togliatti.
In mostra ci sono anche ritagli di giornale e riviste che attestano un ambito di attività nel quale Cassola dette prove eccelse: il giornalismo. Talvolta il legame con ombre letterarie ne era il filo conduttore, ma Cassola stava coi piedi per terra: interrogava, intervistava, riferiva. Su “Il Giorno”nel novembre-dicembre 1964 dedicò quattro servizi “Alla ricerca dei luoghi tozziani”.u “Il Mondo” del 27 dicembre 1970 apparve “La cattiveria buona di Tozzi”, che già nell’ossimoro del titolo enunciava un’interpretazione. Cassola fu inviato della “Nazione del popolo” al Palio del luglio 1946 e non si perse in indugi folcloristici. In mostra sarà visibile e leggibile il saggio forse più compiuto su Siena, nell’olivettiana “Comunità” dell’agosto 1954. Faceva parte di una serie dedicata alla “cultura in provincia”, che esaminava la situazione di tante medie città. A rileggerle oggi quelle pagine asciutte e fitte di numeri e nomi par di leggere d’una Siena di secoli fa. Vi si parla della Tortorelli con i suoi 120 operai, e dei Biliardi Mari, dove lavoravano 60 operai. E dell’Istituto Sclavo e dei caratteristici dolci. Di un solido sviluppo industriale non si scorgeva traccia. “Siena – scrive Cassola – ha bisogno di crescere”. “Come risolvere quindi – aggiungeva – il problema edilizio?”. E come eliminare gli inconvenienti di un traffico veicolare chiassoso e nocivo in una città che non può tollerarlo se non trasformandosi in un caotico labirinto? Il dilemma che si presenta è allarmante. C’è chi vuole conservate il “volto” di Siena e quindi è favorevole a nuove espansioni fuori dal perimetro urbano e c’è chi si batte per mantenerne l’“anima”, e vorrebbe edificare dentro il circuito delle vetuste mura. “È appena superfluo avvertire che i paladini dell’anima hanno dietro di loro gl’inconfessati interessi di alcuni speculatori edilizi. Per contro i paladini del volto – aggiunge feroce Cassola – dicono a chiare note che il turismo è messo in pericolo dallo sfiguramento della città e dal traffico assordante”. Qui l’articolo s’impenna e in questo contrasto rileva un paradosso curioso. I difensori dell’“anima” in realtà avrebbero distrutto la forma – l’anima stessa appunto – della città, malgrado i reiterati richiami alla tradizione. I difensori del “volto” erano favorevoli ad una crescita armonica, basata sulla distinzione netta tra il tessuto storicizzato e le necessarie nuove aree da rendere edificabili. Si sa che questa è la linea che prevalse per merito del piano regolatore immaginato da Luigi Piccinato e varato da una classe dirigente (in prevalenza socialista e comunista) che seppe guardare lontano. Veniva dalla campagna in gran parte, non era portatrice di miopi interessi. La campagna salvò la città.
Roberto Barzanti