Qualcuno, tempo fa, aveva auspicato la fantasia al potere: non il massimo, per chi deve vivere fra i numeri, ma anche di regole si può morire. Regole che, da qui a breve, diverranno un sistema bloccato, chiuso, che porterà all’eutanasia l’economia reale e l’idea stessa di impresa
Qualcuno, tempo fa, aveva auspicato la fantasia al potere: non il massimo, per chi deve vivere fra i numeri, ma anche di regole si può morire. Regole che, da qui a breve, diverranno un sistema bloccato, chiuso, che porterà all’eutanasia l’economia reale e l’idea stessa di impresa.
Regole bancarie che uccideranno l’economia reale e quanti, ancora, credono nella libera impresa e nel concetto del “miracolo economico”.
Abbiamo visto quali e quanti danni ha provocato Basilea 3 (per la quale avevo a suo tempo auspicato l’abolizione) a livello di sviluppo e manifattura: adesso siamo di fronte alla possibile applicazione della sua evoluzione, la cosiddetta Basilea 4.
L’intera galassia bancaria, almeno quella europea, cosmo composto da singole e più o meno grandi banche nazionali ed internazionali e dalle associazioni che le rappresentano, sta chiedendo alle banche centrali e alle autorità di supervisione di bloccare ogni intervento in materia di vigilanza sul patrimonio.
Perché? La preoccupazione avvertita dagli istituti di credito è che il Comitato sulla Supervisione Bancaria di Basilea riscriva, di nuovo, le regole prudenziali sul credito rendendole ancora più rigide di quello che già sono.
Si unisce prudenza a prudenza, burocrazia a burocrazia, quando invece la ripresa andrebbe avvantaggiata e finanziata.
Tale intervento, per l’Europa, rappresenterebbe l’ennesimo shock normativo degli ultimi 10 anni dopo Basilea 2 e 3, e porterebbe all’introduzione del Meccanismo Unico di Vigilanza, il sistema di risoluzione delle crisi ed il bail-in, le disposizioni in tema di governance e quelle sulla trasparenza dei servizi finanziari.
Il Comitato di Basilea vuole infatti imporre alle banche un modello di rischio standardizzato da utilizzare per valutare l’affidabilità di ogni cliente nel momento in cui chiede un finanziamento. Tale modello non prevederebbe nemmeno in parte il ricorso a sistemi di valutazione interni e flessibili, gli unici in grado di valutare ed apprezzare le caratteristiche particolari del mercato di riferimento e quelle dell’affidabilità del cliente.
E’ evidente che, seppure il rinnovato e nobile obiettivo di ridurre rischi di insolvenze e di crisi sistemiche fosse raggiunto, – cosa, come abbiamo visto, niente affatto dimostrabile – di fatto, l’erogazione del credito diventerebbe, a questo punto, ancora più onerosa e meno profittevole per le banche potendo innescare derive tali da portare gli istituti a non svolgere la funzione per la quale sono nati e cioè il sostegno all’economia reale ed alle famiglie.
Ma se questa è la loro legittima preoccupazione, analoga, e forse maggiore, dovrebbe essere quella avvertita dall’economia e dalla politica.
Le conseguenze discendenti dal modello in discussione sarebbero negative per l’intero sistema economico, e soprattutto per le Piccole e Medie Imprese, in particolare per quelle senza rating, alle quali l’accesso al credito sarebbe, di fatto, precluso.
Regole più stringenti sulla ponderazione del rischio di credito avrebbero l’effetto che, per erogare un prestito a una piccola o media impresa, sopratutto se di nuova costituzione, la banca sarebbe costretta ad accantonamenti ancora più elevati con la diretta conseguenza della contrazione dell’operatività della banca stessa e quindi del numero delle operazioni di finanziamento. Gli istituti bancari, per contrastare la risoluzione delle proprie attività nonché gli effetti degli stress test negativi dovrebbero deliberare nuovi aumenti di capitale ovvero l’emissione sul mercato di altri strumenti finanziari. Una vera e propria spirale negativa i cui effetti deleteri non ricadrebbero soltanto sui profitti delle banche, ma prima di tutto sull’economia reale producendone un’ulteriore contrazione.
Da un lato si avverte da tutti gli operatori istituzionali ed economici la priorità di trovare e mettere in atto strumenti perché possa esserci una ripresa dell’economia, perché si possa uscire da una crisi economico e finanziaria che ormai è quasi decennale e che sta mettendo a rischio la tenuta del sistema e, visti i livelli di disoccupazione, dell’intero assetto sociale e democratico del mondo occidentale. Dall’altro, relativamente al sistema bancario, si continua a ragionare come se questo fosse una variabile indipendente e soprattutto non si valutano le ricadute che un qualsiasi intervento su di esso si producono sull’intero ciclo economico.
Una vera e propria schizofrenia regolamentare che non affronta il problema dei problema: la crisi economica. La riduzione del rischio non può, infatti, che essere la conseguenza della ripresa della crescita economica e non la sua causa. Per questo altre devono essere le strade da percorrere. La conoscenza diretta della persona, del suo lavoro, della sua capacità di intraprendere, continuano a rappresentare le più affidabili delle “garanzie” perché sviluppano un rapporto fiduciario che è un valore non assoggettabile ad astratti criteri matematici e prettamente teorici.”
Luigi Borri