La fotografia dell’Italia nell’ultimo Rapporto Censis è severa e non nasconde un aspetto spesso da tutti sottovalutato: l’economia impatta in modo considerevole sui comportamenti sociali, fino al punto di creare distorsioni o, nuove percezioni di ciò che è giusto e di quello che diventa sbagliato. Fino al punto di dirigersi verso le tensioni sociali, o, verso, quella che io chiamo la “guerra tra i poveri”.
Credo davvero che su questo dobbiamo tutti avere il coraggio di fare una riflessione seria.
Quando si parla dei poveri, alla maggior parte di noi, tale realtà non appartiene; eppure, le stime dell’Istat scrivono di un italiano su quattro a rischio. In Italia, nel citato rapporto, si legge di un lavoro “povero” e di un lavoro “a ogni costo”, ovvero di redditi bassi, precarietà e sottoccupazione, soprattutto tra i giovani, che si traducono in disuguaglianza sociale. Si legge che “La risposta migliore al disagio resta la creazione di nuovo lavoro vero, sostenibile, con retribuzioni appropriate”, affermazione condivisibile nel generale divario geografico che ci caratterizza, per il quale tutto cambia da regione a regione, o da città a città, non sempre in meglio.
Oggi il 50% delle famiglie italiane è composto o ha al suo interno un pensionato ed è quindi facile comprendere come spesso sia proprio tale reddito la fonte di apporto alla vulnerabilità economica, o, addirittura, in alcuni casi, il fatto che per il 26,4%, delle famiglie italiane la pensione rappresenti l’unica entrata possibile. Se così stanno le cose, non deve sorprendere che il 58% degli italiani vede nei migranti un pericolo, identifica persone che tolgono lavoro e, per il 63%, sono considerati un peso per il nostro sistema di welfare.
Ma quello di sconcertante che è successo nel nostro Paese e che il Rapporto Censis documenta è la convinzione di essere in pochi ad aver raggiunto una condizione socio-economica migliore dei nostri genitori oltre, purtroppo, all’idea di dover difendere i propri diritti da soli. Su questo grava non sapere cosa succederà domani? Sicuramente, insieme a una ripresa economica che non c’è.Controprova: nel 2017 rispetto al 2008 si tengono più soldi in liquidità proprio a causa di tale incertezza.
Inoltre, il Rapporto Censis parla di un sopravvenuto sovranismo psichico, prima ancora che politico, un fenomeno sociale consistente nella ricerca della presenza di un sovrano autoritario per ottenere stabilità e sicurezza, in quanto “le cause dell’ingiustizia e della diseguaglianza sono tutte contenute nella non-sovranità nazionale”. Su questa interpretazione, dissento. Si confonde il sovranismo politico con la sovranità monetaria, concetto di natura economica, che evidenzia, invece, leve di politica monetaria e fiscale per lo sviluppo economico e sociale non consentite, in mancanza della stessa.
Alla fine, però, solo il 43% di noi oggi pensa che far parte delle istituzioni europee ci abbia giovato e, che ci piaccia o meno, la poca fiducia in Europa è correlata con l’alto timore di rimanere senza un lavoro e al fatto che siam tutti europei, ma poi da noi i salari in termini reali in media in 17 anni sono aumentati solo di 400 euro, mentre in Germania di 5.000 e, in Francia, di 6.000 euro annui.
Allora, se non pensiamo ancora che l’economia ci parla e che detta la vera agenda politica, forse dobbiamo sintonizzarci. Le persone cercano risposte reali e, se si aumenta la disuguaglianza sociale, sarà inevitabile pagare il prezzo di non riconoscere più valore alla diversità, appiattendoci verso luoghi comuni e falsi miti.
Maria Luisa Visione