Dengue a Gracciano, Tumbarello: “Caso non autoctono. Ora serve attenzione ma non facciamo allarmismi”
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“Attenzione, non allarmismo”: specifica il professor Mario Tumbarello, direttore delle Malattie Infettive delle Scotte che sta seguendo il paziente contagiato dal virus Dengue che viveva nell’abitato di Gracciano. Il paziente attualmente starebbe bene.
Il caso non è autoctono, come lo fu quello di un anno fa scoperto a Rapolano Terme. “Parliamo di una persona che aveva viaggiato in un’area endemica per la Dengue, ha contratto l’infezione ed è rientrata con la malattia. Non è un evento insolito: lo scorso anno in Italia ci sono stati circa 400-500 casi”, continua Tumbarello.
Le aree più a rischio, ha continuato il medico, “sono quelle tropicali e subtropicali: sud-est asiatico, Africa, America Latina. Per dare un’idea della portata del problema, lo scorso anno in Brasile si sono registrati oltre 4 milioni di casi con circa 2.000 decessi. La Dengue è una malattia conosciuta da molto tempo, non è nuova, ma resta importante e con cui dobbiamo confrontarci per due motivi principali: la globalizzazione, che favorisce la circolazione di persone e dunque di malattie, e i cambiamenti climatici”.
La trasmissione, ha aggiunto, “non avviene da uomo a uomo, ma tramite la puntura di zanzare. Più aumenta la possibilità di contatto con le zanzare, maggiore è il rischio di diffusione. Quest’estate si parla molto anche del West Nile, anch’essa causata da un virus trasmesso dalle zanzare. Evitare del tutto le punture è praticamente impossibile, ma si possono ridurre i rischi seguendo alcune regole: disinfestazioni (già in corso, ad esempio, a Colle Val d’Elsa), eliminare l’acqua stagnante, indossare abiti coprenti, usare repellenti e, se possibile, installare zanzariere nelle abitazioni”.
Quanto ai sintomi, conclude Tumbarello, “la malattia si manifesta con febbre, mal di testa, dolori agli occhi, dolori muscolari e articolari, talvolta nausea, vomito o diarrea. Nella maggior parte dei casi ha un decorso lieve: si guarisce in una settimana o dieci giorni. In una piccola percentuale di casi può evolvere in forme più gravi, ma la mortalità resta intorno all’1-1,5%. Non esiste una cura specifica, ma solo terapie di supporto. Da oltre un anno, però, sono disponibili vaccini che hanno dato risultati incoraggianti”.