C’è stato un tempo nel quale la cosiddetta letteratura di consumo non aveva altra ambizione che quella di dilettare il pubblico. La centralità e la ricchezza dell’intreccio, l’attenzione rivolta più alle azioni che non ai pensieri o alle emozioni dei personaggi, lo spazio riservato ai sentimenti buoni ed edificanti – il Bene deve trionfare e se a vincere è il Male occorre rassicurare il lettore che non sarà, comunque, una vittoria definitiva – , la rappresentazione dei luoghi in maniera piattamente descrittiva (mutevoli scene, raramente paesaggi-stati d’animo), l’intrattenimento inteso come “vacanza” dalle preoccupazioni della vita di ogni giorno e non come occasione, come strumento, per riflettere, sebbene in maniera mediata, sulle contraddizioni che il nostro quotidiano contiene: erano questi gli elementi costitutivi di libri che disegnavano un percorso, quasi sempre quello, che dallo scaffale della libreria conduceva al comodino e, da ultimo, allo scatolone dei libri da riporre e dimenticare, come un’avventura d’amore che tocca i sensi ma non lega il cuore. Lo sviluppo della Rete e di Internet, da un lato, la letteratura del Postmoderno dall’altro, hanno mutato la natura del romanzo di consumo, nel senso che l’assoluto predominio di una percezione legata alla vista e di un tempo privo di profondità, e dunque schiacciato sul presente, hanno condotto a strutturare il “novel” come una giustapposizione di quadri, curati, ben disegnati, ben strutturati, ma sui quali lo sguardo di chi legge si posa ricavandone un sensazione di sincronia più che di diacronia. Da questo punto di vista la “saga” di romanzi, che costituisce un recupero del “ciclo” caro al Naturalismo (Zola) e al Verismo (Verga), privato, però, di ogni valenza ideologica, assolve il compito di restituire spessore storico a un complesso di vicende che rischierebbero, altrimenti, di restare a livello di tessere di un mosaico, lavorato bene quanto si vuole, variegato, coloratissimo, ma pur sempre bidimensionale. Lisa Cavalieri, ad esempio, lo fa con “Le memorie perdute di Kori”, il seguito di “Le antiche pietre di Dalriada”, dal quale sono tratte le righe che seguono.
“Non sapevo chi ero. Non sapevo cosa sapevo. Non sapevo nulla. Se non che Stavros e Gorgophone cercavano di carpire i miei segreti. E se i Drakos volevano qualcosa da me era possibile, probabile, che anche altri avessero lo stesso obiettivo”.
Diletta Nicastro, Le memorie perdute di Kori, M&L, Roma, 2015
a cura di Francesco Ricci