Sono molto d’accordo con Gilles Lecointre al quale sono molto vicino, oltre che per l’idea politica ed economica, anche per altri motivi. Ho ripassato e condiviso, ultimamente, diversi suoi scritti, tutti incentrati sull’economia cosiddetta immateriale, quella dove ai freddi dati di bilancio, gestiti non più da funzionari ma solo da computer (è di pochi giorni fa la notizia che di 600 broker ne sono rimasti solo 2 in Goldman Sachs, sostituiti da pc…) vengono contrapposti l’importanza di introdurre la valorizzazione contabile del capitale umano, della situazione sociale aziendale e della salvaguardia ambientale della stessa.
Su questo tema, (oltre che sugli spunti forniti da Gilles) occorrerebbe che i nostri giuristi, oltre che le nostre banche ed il nostro governo, ponessero seriamente attenzione.
Di certo un’azienda che ha un capitale umano importante a livello di formazione, professionalità e conoscenze è molto più affidabile di altre che non ne hanno : ugualmente aziende che rispettano l’ambiente, riducendo il rischio per sé e per il prossimo hanno certamente una prospettiva di vita più lunga di quelle che non rispettano né l’ambiente né il mondo circostante.
Lecointre dice, in sintesi, che se parliamo di società che hanno un fatturato “X” , con un tasso di rendimento di “Y”, e “Z” di capitale, non riusciamo mai ad identificarla. Chi saprebbe, in base a questi parametri, indicarne il nome?
Per contro, se dico, per esempio, che un’azienda produce mobili seguendo un processo Ecolabel nel Chianti, è condotta in maniera inappuntabile a livello di sicurezza sul lavoro, non ha grane con il fisco, è il leader di mercato lì, ha maestranze con un livello di professionalità eccelso ed è operativa da quarant’anni senza aver mai avuto problemi con gli stakeholders si avranno elementi sufficienti per scoprire di chi si tratta e quali oggettive performance, nel tempo, potrà esplicare.
Tutto questo viene definito come capitale intellettuale: e cioè tutto ciò che definisce l’identità di una società, che lo rende diversa dalle altre, il suo DNA, il genoma.
Sono questo capitale, in estrema sintesi, le qualifiche, competenze, tecnologia, prodotti e marchi, il business, la reputazione, immagine, potere di mercato, la personalità del proprietario-manager …
Tutte queste dimensioni si traducono la direzione strategica in un mercato competitivo. Si tratta infatti di un capitale, il capitale intangibile, che determinerà la sua salute economica e la sua forza nel futuro.
La questione è come misurare tutto ciò.
Non si può spiegare il valore di una società dai suoi soli indici finanziari. Esiste una relazione proporzionale tra la qualità del capitale intellettuale e il tasso di crescita dell’azienda e, nella fattispecie, di quello che più colpisce e cioè le vendite.
Quasi dieci punti percentuali di crescita annuali che sono determinati da vantaggi o lacune in questo campo, da come si mettono a regime i fattori di competenza ed indipendenza sopra descritti..
E ‘questo aspetto, sulla evidenziazione di questi fattori in bilancio, che dobbiamo concentrare gli sforzi se vogliamo migliorare l’occupazione.
Tanti prodotti sono di qualità e ben posizionati ma quante aziende che lo producono hanno una lunga vita?
Per questo occorrerebbe includere il capitale umano nel bilancio delle imprese: capitalizzare i salari, le spese per la formazione, quelle per il rispetto ambientale, quelle per il soddisfacimento degli stakeholders, oltre a benefii per il rispetto delle regole sul lavoro, sugli infortuni, sulla presenza sociale….
Non vi è alcun successo economico senza un serio progetto sociale.
Il lavoro è un importante indicatore sociale della nostra vita e la perdita di posti di lavoro è destabilizzante.
Anche per questi (nuovi) metodi passa un nuovo corso dell’economia…
Forza e avanti…
Luigi Borri