La storia del manicomio di Siena è una storia secolare. Venne
aperto, infatti, il 6 dicembre 1818 e venne chiuso il 30 settembre 1990, a
dodici anni di distanza dall’approvazione della Legge 180, conosciuta anche
come Legge Basaglia. La sua istituzione coincide, di fatto, col superamento
dell’idea che la pazzia fosse una malattia senza né cura né rimedio, una
convinzione, questa, che fu alla base della costruzione (o del riadattamento),
tra il XVI e il XVIII secolo, di edifici in tutto e per tutto assimilabili a
una prigione, circondati da alte mura, reali e simboliche, collocati lontani
dai centri urbani, quasi a voler rimarcare il destino di esclusione dalla polis
che attendeva chi per la polis poteva costituire una minaccia o una deviazione.
In questa prospettiva, la storia del San Niccolò di Siena diviene paradigmatica
dei mutamenti intervenuti col tempo nella maniera di guardare al diverso, di
avvicinarsi alla malattia mentale, di instaurare un rapporto col paziente, di sviluppare
con questo immedesimazione e partecipazione emozionale, di ricorrere alla
farmacoterapia, di giudicare il nesso che lega la normalità e la follia. Ad esempio,
la relazione presentata nel 1858 al Consiglio di Amministrazione da Carlo Livi,
che fu direttore del San Niccolò fino al 1873, attesta l’avvenuto passaggio da
una visione del manicomio come spazio di segregazione/ reclusione a quella del
manicomio come luogo di cura/recupero. Analogamente, l’avviso di apertura di
una scuola per infermieri, avviso affisso sullo scorcio del 1905 all’ospedale
psichiatrico senese, è la spia del lento, ma progressivo farsi strada della
necessità di provvedere alla formazione di coloro che devono assistere i malati
nei diversi momenti della giornata. E quanto viene fatto nella città del Palio,
viene attuato anche nel resto d’Italia. Sono questi solamente due degli snodi
decisivi nella storia dell’istituzione manicomiale e in quella dell’approccio
alla malattia mentale sui quali si concentra l’attenzione di Francesca Vannozzi,
docente di Storia della Medicina presso l’Ateneo senese, nel saggio intitolato
“Pianeta diversità”. Lavoro complesso, che riunisce e in parte rielabora articoli
usciti nel corso di un trentennio, il libro presenta, a mio avviso, tre punti
di forza, che lo rendono estremamente interessante anche agli occhi di chi non
rientra a pieno titolo nel novero degli specialisti o degli addetti ai lavori.
Questi tre punti sono costituiti dall’acribia nel raccogliere e trattare le
fonti per la ricostruzione della vita al San Niccolò, dalla chiarezza
espositiva, dall’amore per un ambito di ricerca che per Francesca Vannozzi – e
il lettore lo avverte sin da subito – viene ad assomigliare tremendamente all’amore
di tutta una vita. Il passo che segue, tratto dalla “Presentazione”, chiarisce
bene la genesi e le finalità dell’opera, arricchita anche dai contributi di
altri studiosi e da un importante apparato fotografico.
“Passando a Siena davanti al grande edificio in Via Roma, elegante nelle forme, dove il rosso del mattone fa contrasto con il bianco del travertino, adornato nella facciata dal grande orologio e dalla pensilina di ferro battuto, con un ingresso importante su quello che era il giardino con piante tropicali e fontane, il visitatore ignaro lo pensa villa ottocentesca ai margini della città e non quello che in realtà è stato: uno dei sedici stabilimenti del senese villaggio manicomiale San Niccolò. Una realtà che, con i suoi oltre 2000 degenti, ha avuto un ruolo preciso all’inizio per il Granducato e poi per la città: luogo di accoglienza e assistenza di tutta quella variegata umanità priva di identità o comunque scomoda e quindi da emarginare in una zona del suburbio cittadino. Tale chiave di lettura, fondata su anni di studi e ricerche condotte negli archivi cittadini, ha portato alla conferma di come la storia della malattia mentale in Italia significhi obbligatoriamente storia delle vicende del manicomio, ma che la storia d’esso non equivalga necessariamente al percorso della malattia mentale, ma sia ancora più complessa perché storia del diverso, dell’emarginato, dello scomodo, dell’”altro”. Il mantenuto assetto architettonico del villaggio disseminato, con al suo interno il Reparto Conolly o “dei clamorosi” a forma di panoptico, l’archivio delle cartelle cliniche perfettamente conservato, il fondo archivistico della Società di esecutori di Pie Disposizioni di Siena, la raccolta della Rivista “Cronaca del manicomio di Siena” poi “Rassegna di Studi Psichiatrici”, assieme a vari altri fondi documentari cittadini hanno rappresentato per la sottoscritta dal 1989 ad oggi una possibilità inesauribile di ricerche che in modo continuativo sono state presentate e pubblicate in occasione di convegni e simposi scientifici nell’arco di 30 anni, approfondendo aspetti particolari del San Niccolò”.