Siamo tutti sempre più ‘inglesi’, proviamo ad essere sempre più anglofoni ed è per questo che i giovani senza lavoro, in Italia non sono disoccupati o in cerca ma, udite udite, NEET, acronimo -bruttissimo – per definire i giovani tra i 15 e i 24 anni che non lavorano e non si trovano nel sistema scolastico (not in education, employment or training).
L’Italia manco a dirlo è ai primi posti dietro a Grecia, Spagna e Bulgaria e vanta un eccellente 19,9 per cento giovani senza lavoro, avendo pil doppio di NEET della media europea, dove sono l’11,5 per cento del totale dei giovani.
I numeri di regola si leggono io, come sempre , li interpreto. E allora penso che le cose non stiano proprio così.
Anzitutto il ‘nero’ che nel lavoro giovanile, purtroppo, in molti settori la fa da padrone: parlo dei settori che tutti conoscono e per i quali , sembra, ci sia una sana immunità.
In secondo luogo la colpa è dei ragazzi stessi e prima ancora dei genitori: i primi molto più concentrati su aperitivi, smartphone, auto e vestiti di moda e varie amenità, invece che sul lavoro. Non lo trovano perché , spesso, non lo cercano, troppo presi da tutto quanto gira loro intorno. I secondi, i genitori intendo, molto più concentrati a non mettere le ali e a non dare gli strumenti per volare da soli, ai propri figli ma anzi ad avere il pensiero che essi siano sempre legati ai cordoni ombelicali quindi l’impegno principale non viene assolto dai genitori: i figli non cercano e non trovano lavoro perché hanno tutto e non conoscono il valore del denaro e del sacrificio.
E allora la statistica sbaglia: perché andrebbe rivista sulla base anche della volontà di trovare una soluzione al problema del lavoro.
Ma questo non fa notizia. E non fa soprattutto politica.
E allora lunga vita ai NEET
Viva l’Italia
Luigi Borri