Che ruolo gioca la salute mentale e la capacità di intendere e di volere.
Fiumi di letteratura, talvolta discordanti tra loro, sono stati scritti riguardo al concetto di salute mentale in relazione alla capacità di intendere e di volere. Tra quali variabili si gioca questa delicata partita? Stiamo parlando di coscienza/non coscienza, cioè saper cogliere, più o meno, l’oggettività fisica del reale, e di consapevolezza/non consapevolezza, ovvero riuscire o no a trasformare la suddetta oggettività in sensi e significati. Questi concetti seppur inerenti al contesto psicologico e medico, assumono un’estrema rilevanza anche nel mondo del diritto ed in particolar modo, all’interno del processo penale. Che cosa suggerisce il nostro codice? L’articolo 85 prevede che un individuo non possa essere punito per reato commesso se, nel momento in cui l’ha compiuto, non fosse imputabile, cioè che non possedesse la tanto declamata e spesso abusata capacità di intendere e di volere. Di fronte a un reato dunque, accertare lo stato psicologico del presunto criminale è un passo fondamentale per l’iter previsto dal sistema giuridico.
In altre parole, quali domande gli addetti ai lavori si dovranno porre? In primis, il reato perpetrato è stato mosso dalla volontà di compierlo? Quale tipo di volontà l’ha indotto? Ha voluto dunque, a titolo doloso, quanto accaduto o non l’ha provocato intenzionalmente? Aveva capacità e risorse per prevederlo o evitarlo? Ha agito con imprudenza, imperizia o negligenza? Sciogliendo questi nodi, si potrà giungere a chiedersi se il reato è stato mosso da un impulso ideativo e pertanto andrà valutato lo stato psicologico del soggetto in quel preciso istante, così da ipotizzare se il delitto sia stato compiuto nella piena coscienza e consapevolezza, o in concomitanza di uno squilibrio psichico, cioè di follia. Nel primo caso il soggetto sarà considerato imputabile. Già Ippocrate definì l’infermità mentale come conseguenza di uno squilibrio.
Oggi, l’Organizzazione Mondiale della Sanità descrive la salute mentale come uno stato di completo benessere fisico, psichico e sociale, e non semplicemente assenza di malattia o infermità. Che cosa si intende nello specifico? Facciamo riferimento a uno stato caratterizzato da equilibrio nell’umore, inalterati processi cognitivi e adeguate risposte comportamentali, capacità di relazione e di introspezione, nonché abilità nel gestire la propria emotività. L’analisi di questi aspetti non può escludere, da un punto di vista strategico, proprio del modello di Psicoterapia Strategica Breve, la valutazione del sistema percettivo e reattivo del soggetto, cioè le sue modalità ridondanti di percezione e reazione nei confronti della realtà, che si esprimono nel funzionamento delle tre fondamentali tipologie di relazione interdipendenti: la relazione tra il Sé e il Sé, la relazione tra il Sé e gli altri, la relazione tra il Sé e il mondo.
Tale sistema, studiato e descritto grazie al lavoro decennale di Giorgio Nardone e dei suoi collaboratori, comprende anche le concezioni, i punti di vista, le sequenze interattive e le tentate soluzioni messe in atto dal soggetto per far fronte ai problemi. In sede valutativa, non possiamo poi non considerare il Manuale Statistico e Diagnostico dei Disturbi Mentali, volto a valutare parametri quali i disturbi clinici, disturbi di personalità e ritardo mentale, condizioni mediche generali, problemi psicosociali e ambientali, nonché una valutazione globale del funzionamento del soggetto. Già il padre della psicoanalisi, Sigmund Freud, suggeriva che ogni essere umano, perennemente in lotta con se stesso a causa di contrastanti pulsioni, ha un proprio lato oscuro e possiede istinti aggressivi e passionali, nei migliori dei casi, tenuti a freno da sovrastrutture sociali e psicologiche.
Le emozioni sono, a tal proposito, considerate stati affettivi di breve durata, mentre le passioni sono tratti affettivi che durano più a lungo. In altre parole, possiamo ritenere che all’interno della vasta gamma dei reati, alcuni derivano da stati d’animo, come ad esempio i delitti d’impeto che tendenzialmente non sono caratterizzati da alterazioni della capacità d’intendere e di volere. Quando invece le condizioni emotive o passionali sono caratterizzate da tratti che si esprimono in sintomi evidenti di preesistenti patologie, come per esempio le psicosi, i disturbi dell’umore o la schizofrenia, potrà essere possibile considerare che il soggetto abbia potuto o stia sperimentando una ridotta o assente capacità di intendere e di volere. In altri termini, l’imputabilità non sarà pertanto dipendente dallo stato emotivo o passionale ma dal disturbo mentale osservato e opportunamente rilevato.
Un ultimo messaggio, ricco di significato, desidero lasciarlo attraverso le parole del politico e diplomatico francese vissuto a cavallo tra il ‘700 e l’800 del secolo scorso. Charles-Maurice de Talleyrand- Périgord sosteneva:
“È stato peggio di un crimine, è stato un errore”.
Dott. Jacopo Grisolaghi
Psicologo
Psicoterapeuta Ufficiale del Centro di Terapia Strategica di Arezzo Sessuologo e Dottore di Ricerca in Psicologia