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“Il Giubileo finisce ma la speranza rimane. Siatene i custodi”: l’omelia di Lojudice per la chiusura dell’Anno Santo

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“Il Giubileo si chiude, ma la speranza rimane”. È il cuore del messaggio che il cardinale Augusto Paolo Lojudice affida alla comunità diocesana nella messa per la chiusura dell’anno santo, celebrata nel Duomo.

Un’omelia che non si limita a concludere un tempo liturgico, ma rilancia una responsabilità che, nelle parole dell’arcivescovo, riguarda la coscienza personale, la vita pubblica e il futuro della società.

Lojudice parte dal Vangelo della Sacra Famiglia e della strage degli innocenti, soffermandosi sulla figura di una famiglia “povera e fragile”, posta al centro di uno scontro tra “il potere di questo mondo” e “la protezione divina”.

 

 

Da una parte Erode, simbolo di un potere che reagisce con la violenza per paura di perdere il controllo; dall’altra Giuseppe, che “scolta la voce di Dio attraverso l’angelo” e si mette in cammino per proteggere la sua famiglia. “Questa famiglia – sottolinea – è il terreno di scontro tra il potere di questo mondo e la voce di Dio”.

Uno scontro che, chiarisce l’arcivescovo, non appartiene solo al passato. “Avviene nel cuore, nella coscienza di ciascuno di noi”, ma anche “sul piano pubblico, nei luoghi della deliberazione e della decisione legislativa”. Una legge morale che, ricorda, “è scritta nel cuore” e che “non possiamo cancellare o portare via”, nonostante i tentativi di distogliere uomini e donne dall’ascolto della coscienza.

Il Natale, in questo quadro, “non è un rifugio spirituale, una fuga dalla realtà, ma una scuola di responsabilità”, afferma Lojudice. La pienezza del tempo, aggiunge, “non è una condizione ideale da attendere”, ma “una realtà da accogliere e trasformare”, perché è Cristo stesso che “rende pieno il tempo abitandolo”.

Nel ripercorrere l’anno giubilare, l’arcivescovo richiama alcuni passaggi che hanno segnato la vita della Chiesa in questi mesi: dalla morte di Papa Francesco al conclave, dai giubilei degli adolescenti e dei giovani fino al Giubileo toscano, senza dimenticare le “situazioni delicate” vissute sul territorio, come la vertenza Beko. “La speranza continua – ribadisce – e continueremo a batterci perché chi resta senza lavoro possa trovarne uno nuovo”.

 

LA DIRETTA

 

Ampio spazio è dedicato al tema della pace, richiamando il primo messaggio di Papa Leone, intitolato “Verso una pace disarmata e disarmante”. “La pace esiste, vuole abitarci”, afferma Lojudice, ricordando che “pensare la pace significa alimentare una cultura di pace”, per evitare che l’opinione pubblica diventi “prigioniera delle semplificazioni” e della “logica spietata della guerra”.

Lo sguardo si allarga poi alla storia, con il riferimento a Sant’Agostino e al sacco di Roma del 410. Come allora, osserva il cardinale, anche oggi “cresce la sensazione che ciò che appariva solido non lo sia più”, tra guerre, disuguaglianze, crisi ambientali e sfiducia nelle istituzioni. Agostino, ricorda, non difende un sistema politico, ma invita a distinguere tra la città di Dio e la città dell’uomo, fondate su “due amori”: “l’amore di sé fino al disprezzo di Dio” e “l’amore di Dio fino al dono di sé”.

Da qui l’invito a una speranza che non coincide “né con l’ottimismo ingenuo né con la rassegnazione”, ma che si traduce in scelte quotidiane: “nel modo di esercitare il potere, di usare il denaro, di abitare le relazioni”. Una speranza che si costruisce “già adesso”, attraverso “la giustizia cercata”, “la solidarietà vissuta” e “la cura dei più vulnerabili”.

Nel finale, Lojudice richiama quello che definisce “il Giubileo più importante”, il pellegrinaggio interiore. “Significa guardarci dentro, ascoltare noi stessi”, afferma, rivolgendosi in particolare agli adulti e alle loro responsabilità verso le nuove generazioni. Una riflessione che tocca anche la Chiesa, chiamata a interrogarsi sull’efficacia della trasmissione della fede: “È una domanda aperta e non possiamo far finta che non esista”.

L’ultima parte dell’omelia è un invito al silenzio e alla contemplazione, in un tempo segnato dal “rumore” e da un pensiero sempre più “artificiale”. “Solo il silenzio – afferma – può far nascere parole nuove”. E la conclusione è affidata a una certezza: “La speranza non finisce e non è stata delusa. Dio è entrato nella nostra storia e non se n’è più andato”.

Un messaggio che si chiude con una preghiera per “le terre martoriate dalle guerre” e con l’invito a essere “non spettatori, ma testimoni”, “non fuggitivi, ma custodi di speranza”.

Marco Crimi