Ho osservato e studiato il fenomeno a lungo. Un po’ per curiosità un po’ preoccupato della deriva che stava prendendo il sistema perché la ricchezza facile è qualcosa che intossica la realtà.
E’ palese che il lavoro sia sacrificio e dedizione, oltre che competenza.
E’ altrettanto chiaro che il lavoro, di per sé, cambia con il cambiare delle epoche, modellandosi ai bisogni ed alle esigenze dei momenti.
Mi ha incuriosito però il fatto che tendenzialmente esista una parte di lavoro che, basandosi sul “nulla di fatto” e cioè su una idea meramente virtuale dell’opera, pian piano va prevalendo sul lavoro manifatturiero, sia esso di natura industriale che professionale.
Questo tipo di lavoro – le cui ultime evidenze risultano dal boom dei bitcoin e di tutte quelle diavolerie finanziarie che ci vengono quotidianamente propinate- si basa sul concetto di mancanza di sacrificio e, spesso, di rischio a fronte di guadagni molto importanti.
Sono scommesse, catene e vasi (non comunicanti) dove una massa di soggetti ignari ( e spesso ignoranti) fanno da cavie per i lauti guadagni di pochi furbetti che, al riparo dietro algoritmi e schermature, indirizzano le tendenze ed i mercati senza muovere dito: spesso addirittura non rischiando i propri denari ma facendo da intermediari per le sostanze altrui.
Ed il lavoro concepito e realizzato senza muovere dito, basandosi sulle sostanze altrui è un pericolo.
Un pericolo in quanto si perdono sia i riferimenti ai capisaldi dell’opera dell’uomo (tempo e spazio del lavoro svolto) sia i parametri in base ai quali l’opera stessa deve essere giudicata (sacrificio, competenza e socialità dell’opera svolta).
Un pericolo, che a mio avviso, deve essere rimosso riportando al centro l’uomo e la sua opera in senso tradizionale: fatta di studi, sogni e calli alle mani.
Viva, sempre e per sempre, il tricolore.
Luigi Borri