La cosa che mi piace di più del Piano Nazionale di Ripresa e di Resilienza (PNRR) è la volontà di lavorare, ribadita quasi in ogni paragrafo, per raggiungere l’inclusione sociale e l’accessibilità a tutti. Mentre ho letto e riletto le dodici pagine del Piano intitolate “Turismo e Cultura 4.0” – ho il sospetto di averle perfino annusate (citazione da Pelham Grenville Wodehouse) – ma le ho trovate deludenti, se non proprio sbagliate.
Il primo errore, che viene reiterato da anni, è quello di tenere insieme due materie – turismo e cultura – che sono invece lontanissime fra loro, hanno logiche profondamente diverse ed in alcuni casi perfino contrastanti. Poi c’è ovviamente anche un’area condivisa, che è quella del turismo culturale ampiamente inteso, che deve essere appunto gestita come un punto di equilibrio non sempre facile da individuare. Ma già mettere i soldi per i due settori all’interno di un unico salvadanaio (o come vogliamo chiamarlo) alimenta dubbi e perplessità sulla esatta comprensione del fenomeno da parte di chi ha redatto il PNRR e di chi dovrà gestirlo. La stessa insistenza sulla attrattiva culturale del nostro paese significa avere una visione poetica e romantica, ma sbagliata, della destinazione turistica Italia: l’enogastronomia, lo stile di vita e le attività all’aria aperta ormai sono motivazioni molto più forte di arte e cultura.
Poi c’è la ormai insopportabile retorica sui “borghi” – politicamente comprensibile, visto che non si poteva certo rinnegare la linea del ministro Dario Franceschini, ma tecnicamente molto discutibile – che avrà almeno il merito di sostenere le “attività culturali, creative, turistiche, commerciali, agroalimentari e artigianali, volti a rilanciare le economie locali valorizzando i prodotti, i saperi e le tecniche del territorio”. A prescindere, diciamo, così come quelli per ville e parchi naturali che hanno senz’altro bisogno di essere recuperati e restaurati
Personalmente, ho la sensazione – sgradevole quanto netta – che i soldi ci saranno (6,68 miliardi di euro), ma che finiranno per essere spesi male, ovvero non nella direzione che sarebbe necessaria per creare un sistema turistico di qualità a livello nazionale. La direzione che è l’unica su cui il Governo nazionale può incidere, fino a quando la competenza turismo sarà di competenza esclusiva delle regioni: una politica industriale degna di un settore che produce il 13% del Pil nazionale. Ed invece, ecco il classico “spezzatino”: 100 milioni qui (Hub del turismo digitale… aiuto, cosa sarà), 150 milioni qua (riqualificazione immobili a partire dagli alberghi più iconici… chissà cosa vuole dire), 358 milioni là (facilitare l’accesso al credito): per accontentare e scontentare tutti, allo stesso tempo.
Roberto Guiggiani
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