A colpi di decimi di punti ci avviciniamo all’appuntamento con il DEF 2018 del 10 aprile.
Il Documento programmatico di Economia e Finanza sarà la mappa iniziale di quel cambiamento che ci aspettiamo nella qualità della nostra vita. Ma il territorio è pieno di incertezza. Il DEF infatti deve contenere proposte economiche convincenti sia per le forze parlamentari che per la Commissione Europea. Avremo in ogni caso dati parziali, in attesa del giudizio a maggio sulla eventuale necessità di correzioni per evitare procedure d’infrazione e delle tabelle di settembre per la manovra di bilancio definitiva.
Partiamo dai dati. L’Istat ha certificato un miglioramento dei conti pubblici per il 2017, con un deficit all’1,9% del PIL anziché al 2,1%; un avanzo primario di circa 32 miliardi di euro in aumento; un indebitamento netto di circa 33 miliardi di euro in diminuzione e una ripresa del PIL. Rispetto alle previsioni contenute nella nota di aggiornamento al DEF del 2017, i numeri dell’avanzo primario e dell’indebitamento netto sono migliorati, perché in sostanza, in una buona parte (negli ultimi 3 anni) sono calati gli interessi pagati sul debito pubblico, a causa della politica monetaria espansiva di Draghi. Allo stesso tempo la spesa pubblica non è stata aumentata, a differenza dell’introito fiscale cresciuto in misura sostanzialmente corrispondente all’incremento del PIL e dell’occupazione nel periodo considerato.
Sul fronte dello stock il debito pubblico, invece, è cresciuto in termini assoluti (2.256 miliardi di euro) e si è ridotto di una minuzia in termini relativi, cioè in rapporto al PIL (131,45% del PIL).
Tuttavia per non rompere i vincoli europei e il percorso di riduzione del debito pubblico, la previsione del deficit rimane al ribasso di circa lo 0,9%. Sul tavolo abbiamo: la sterilizzazione degli aumenti dell’IVA, promesse di reddito e occupazione o di ripristino di diritti pensionistici violati da precedenti riforme, ovvero coperture da indicare. In pratica, a conti fatti, come sarà possibile aumentare l’avanzo primario, in maniera da ridurre il rapporto debito/PIL e soddisfare le aspettative e le promesse elettorali passando indenni all’esame dei conti pubblici della Commissione Europea, se non si potrà aumentare la spesa pubblica? Ci vorrebbero almeno 25-30 miliardi e la politica monetaria espansiva non potrà certo durare per sempre.
Io credo che la spesa primaria verrà ulteriormente tagliata, ma nei diritti, nella sanità, nelle pensioni, nelle prestazioni assistenziali di tutela di protezione, perché i numeri dicono questo. Credo che la BCE perseguirà l’obiettivo di aumento dell’inflazione fino al 2%, come da mandato e continuerà a comprare i titoli di Stato come stimolo monetario, perché la sua funzione è garantire la stabilità finanziaria. E credo anche che il privilegio italiano di avere imposte di successione a livelli minimi rispetto agli altri Stati membri, sia alla resa dei conti.
Quindi mi chiedo, mentre riformiamo la burocrazia e riduciamo l’evasione fiscale a colpi di uno 0,2-0,3% di PIL, quale spesa pubblica è prevista per i 18,1 milioni di persone in stato di difficoltà e di deprivazione sociale, certificati anche loro? Per trasformare il REI in lavoro e, soprattutto, attestare che la ripresa economica è reale, unico caso in cui sarebbe ammissibile aumentare le tasse per drenare la circolazione di denaro in eccesso?
Situazione a occhio molto lontana dalla realtà.
Maria Luisa Visione
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