Ogni volta che leggo il programma dei Seminari internazionali estivi di Siena Jazz (il 24 luglio inizia l’edizione n. 48) penso a quanta comunicazione culturale di qualità si potrebbe fare attorno alle tradizionali, intriganti jam session in contrada.
Una decina di appuntamenti (il programma completo lo trovate sul sito di Siena Jazz , che anno dopo anno, portano studenti e maestri di musica jazz all’interno delle contrade, fornendo una chiave di qualità – appunto – per entrare in maniera educata e corretta a contatto con il mondo del Palio di Siena, lontano dai quattro giorni della corsa e dunque con la possibilità di conoscerlo, toccarlo, iniziare a capirlo in un momento di vivacità e di autenticità.
Senza stravolgere nulla di quello che già viene fatto. Senza mettere in scena malinconici “teatrini” per i turisti. Ma, anzi, offrendo una occasione di contatto e di conoscenza, che mi sembra non sia mai stata compresa fino in fondo. E dunque senza che si sia mai cercato di farne una comunicazione adeguata. Che è cosa diversa, naturalmente, dal successo delle jam session, che comunque hanno un loro pubblico, sono una consuetudine, hanno un lato valore musicale e dunque non hanno bisogno di “spinte” particolari per fare il pieno di spettatori. Il punto – secondo me – non è questo. Sarebbe invece quello di avere a disposizione un’occasione – non certo l’unica – per invitare in contrada anche persone che non le frequentano, soprattutto se sono turisti in visita in città, e di farle conoscere anche in una dimensione lontana da quella che televisione, cinema, siti internet, blog, immagini su instagram, trasmettono in maniera fin eccessiva nei giorni attorno al 2 luglio ed al 16 agosto.
Perché il jazz in società di contrada è una cosa “che ci sta bene”, coerente con la natura stessa delle contrade e quindi, – lo ripeto volentieri – occasione di conoscenza e di contatto autentico. Con, in più, la formula coinvolgente, accattivante, sorprendente della jam session, che non è il concerto classico, se vogliamo paludato, al termine del quale ci si alza e si va via, più o meno soddisfatti dell’ascolto e degli interpreti.
Ma ci fa invece trovare nel mezzo a quelle che gli stessi organizzatori di Siena Jazz chiamano “felici invasioni musicali” e dunque ad imprevedibile contatto con una Siena che non è così facile incontrare.
Roberto Guiggiani