Il mondo vinicolo italiano trema per la possibile applicazione dei dazi americani.
Da tempo si assiste ad una crisi che inficia i consumi del vino un po’ su scala globale, ed i fattori sono vari; tra queste i giovani (in età per bere) che sembrano disinteressati alla materia e le tendenze salutiste che mettono al bando il vino in quanto ritenuto cancerogeno.
Ma la nuova spada di Damocle pendente sulla testa dei produttori vinicoli sono i dazi, che Trump minaccia di applicare. Secondo le analisi dell’Osservatorio Uiv (Unione Italiana Vini), i dazi statunitensi al vino italiano determineranno nel 2025 una perdita delle vendite tra i 330 e i 250 milioni di euro (in base al valore del dollaro). Una spada pesante se si considera che circa il 24% dell’export del vino italiano globale viene assorbito dagli Stati Uniti. La proiezione si basa sull’ipotesi di applicazione di dazi al 20% per tutti i vini fermi e al 10% per gli spumanti, una tariffa inferiore per questi ultimi determinata dalle pressioni dell’industria Usa, più restia a sopportare limitazioni commerciali sulla tipologia di punta.
Ciò comporterebbe una perdita stimata del 15% sul risultato dello scorso anno (già in calo rispetto agli anni precedenti), come dimostra anche l’esperienza francese tra metà 2020 e primo trimestre 2021, quando i cugini di oltralpe furono colpiti dai dazi americani del 25%. In quel caso la risposta del mercato sui volumi commercializzati fu direttamente proporzionale, con una perdita del 24%.
“Il vino – ha detto il presidente di Unione italiana vini (Uiv), Lamberto Frescobaldi – è uno dei settori del made in Italy maggiormente esposti in caso di dazi nel primo mercato al mondo. Il danno sulle imprese sarà inevitabile, perché se vorranno rimanere competitive dovranno assumersi gran parte dell’extra-onere richiesto, visto che il mercato non è in grado di sostenerlo. Ma il danno sarà doppio, perché lo subiranno inevitabilmente anche i consumatori finali a causa di un’inflazione che tornerà a bussare con insistenza”.
Stefania Tacconi
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