La felicità di sentirsi “attesi” in Piazza del Campo

Non capita proprio tutti i giorni che uno scrittore che ha ricevuto il Premio Pulitzer scriva un libro che ha come titolo “A month in Siena” (Un mese a Siena). Ed anche se nella edizione italiana, pubblicata da Einaudi, il titolo è diventato un più generico “Un punto di approdo” – senza nessun riferimento alla città – questo non toglie nulla all’opportunità che offre. Non tanto per una semplice promozione turistica diretta, in realtà poco opportuna, quanto per riaccendere un dibattito sulle “visioni” che i viaggiatori hanno di Siena, spesso fortunatamente diversa da quella di chi ci è nato e ci vive.

Non sono in grado di dare giudizi letterari sul libro scritto da Hisham Matar, nato a New York da genitori libici e vincitore appunto del Premio Pulitzer – considerato il principale riconoscimento letterario degli Stati Uniti – nel 2017 per il suo libro autobiografico “Il ritorno”. Mi fa invece piacere parlare qui di una frase che ho trovato a pagina 12 del libro e che penso possa meritare un approfondimento più ampio, anche oltre questo articolo.

Parlando di Piazza del Campo, Matar scrive: “era come se Diana ed io fossimo entrati in uno spazio che ci apparteneva, uno spazio dove eravamo attesi e dove, probabilmente, da quel momento in poi, avremmo ripreso ad essere attesi. Non è questa una delle possibili definizioni di felicità?”.

L’ho trovata una definizione bellissima per un luogo: la felicità di sentirsi “attesi” in Piazza del Campo, pur senza esserci mai stati. E di essere nuovamente “attesi”, per sempre, dal giorno in cui si è finalmente riusciti a visitarla. Oltre che una possibile definizione di felicità, è l’ambizione più bella, un autentico sogno che possa avere una destinazione turistica.

Sentirsi attratti da una città appare come una sensazione molto più debole, rispetto a quella di sentirsi addirittura attesi, desiderati, ed è un concetto attorno al quale sarebbe bello riuscire a creare una visione ed un racconto davvero particolare. E che calza a pennello per una città come Siena, dove – lo ripeto spesso – tutti coloro che sono stati, aspettano in qualche modo di essere invitati a tornare.

Matar aggiunge poi “Lì eravamo tenuti a comportarci bene e forse perfino a tenere a freno la lingua”. Parole che possono apparire fin troppo letterarie, soprattutto se si pensa alle tante polemiche sui comportamenti irrispettosi (o considerati tali, da qualcuno) che alcuni visitatori tengono in Piazza del Campo. Ma che invece, proprio perché pronunciate da una persona appena arrivata a Siena, dovrebbero renderci maggiormente consapevoli che il “porgere”, cioè il modo in cui ci si presenta agli altri, è fondamentale.

Roberto Guiggiani