La gassa: Se il sistema finanziario vale di più della sovranità di un popolo

Terrorismo finanziario. Oltretutto perché a mio modo di vedere non esiste alcuna relazione di causa/effetto fra referendum e situazione finanziaria attuale. Situazione che non può avere la meglio sulla sovranità di un popolo

luigigassa

Chi va per mare dorme poco. Poco e poco volentieri, perché alla fine, i marinai lo ritengono tempo sprecato, momenti tolti alla pesca o alla contemplazione.
Per questo verso le cinque, anche prima, sono solito guardare i telegiornali (anche esteri) e sentire cosa si dice del futuro, dell’economia e, in genere, del nostro paese.
Stamani però sono trasecolato e, in fondo, mi sono anche arrabbiato.
Guardavo SkyTG 24 e si parlava dell’ormai super inflazionato referendum italiano: bella novità, penserete… E invece si. C’è molto di nuovo, e di preoccupante.
Nella rassegna stampa si diceva, in estrema sintesi, che tanto i sistemi finanziari europei, l’OCSE ed il Financial Time in testa, si erano nettamente schierati a favore di una posizione (quella del SI) al nostro referendum, determinando l’opinione che se perderà il “fronte riformista” ben otto banche (Monte dei Paschi di Siena, Popolare di Vicenza, Carige, Banca Etruria, CariChieti, Banca delle Marche e CariFerrara) avrebbero rischiato il fallimento: tutto ciò in virtù del fatto che “Renzi si dimetterà in caso di sconfitta, facendo crollare con un governo tecnico la soluzione di mercato che avrebbe risolto i problemi da 4mila miliardi di euro del sistema bancario Italiano”.
E’ terrorismo finanziario. Oltretutto perché a mio modo di vedere non esiste alcuna relazione di causa/effetto fra referendum e situazione finanziaria attuale.
La non automaticità di quanto affermato dal giornale londinese non esiste e questo per diverse ragioni.

La prima è che una riforma costituzionale, di per sé, riforma la Costituzione e non migliora i conti delle banche. I bilanci possono essere risanati solo con un intervento pubblico o di tassazione nei confronti dei cittadini oppure con l’intervento di un “anchor investor”. E qui non esiste dubbio.

La seconda perché anche in caso di vittoria del NO nessuno ha detto che lo Stato non si sarebbe occupato delle questioni finanziarie legate al problema del credito ed alla tutela dei cittadini o che l’ “anchor investor” si sarebbe, del caso, defilato. Ed anche qui non esiste dubbio.

La terza perché, con questo sistema di disinformazione non si dà il via ad un metodo riformista e di legalità ma si minano le libertà fondamentali di un sistema democratico fondate sulla sovranità del popolo, sulla libera scelta e sulla negazione del ricatto. E’ chiaro che se passa il messaggio “NO=fallimento delle banche” non si può certo pensare che la scelta in urna dei votanti sia principalmente focalizzata alla bontà della riforma costituzionale ma alla tutela dei propri risparmi.
Capite bene che non può ( e non deve) esistere alcun tipo di relazione fra i conti bancari ed una riforma costituzionale così come è inaccettabile che qualcuno (il Financial Time) in qualche modo, minacci ripercussioni tragiche e da “day after” non avvalorate da dati concreti e da precisi riscontri.
Sarebbe bene ricordare al giornale londinese che ormai la tragedia (in ambito bancario e finanziario) si è compiuta e che il referendum non è che un qualcosa di totalmente avulso dalla cura del nostro sistema bancario: i titoli delle maggiori banche Italiane hanno perso, negli ultimi anni fino al 98% del proprio valore, chi aveva acquistato titoli o panieri di titoli si è visto erodere il valore giorno dopo giorno e chi si trova alla guida di una azienda sa bene cosa significhi il “credit crunch” e cosa siano le difficoltà nell’accedere a finanziamenti o semplici smobilizzi di portafoglio.
Come allora un sì o un no relativo ad una questione Costitutiva può ristornare il danno a chi lo ha già subìto? Come può, per contro, risistemare un bilancio bancario senza chiedere ulteriori sacrifici al popolo in mancanza (come pare) di investitori diretti?
Da parte mia trovo abbastanza aberrante (e penoso) che la parola fine al lavoro iniziato da Giolitti, Togliatti e La Pira venga messa da un sistema, quello della finanza, che, di fatto, ha messo in ginocchio una intera nazione e da un giornale, inglese, di quella Londra che a breve non farà più nemmeno parte dell’Europa.
Viva (sempre e comunque) l’Italia.

Luigi Borri