La lettera – “La giustizia deve essere uguale per tutti: datela a mia moglie, morta dopo il parto”

Il 26 maggio è la data prevista per l’udienza di discussione sull’incidente probatorio che porterà maggiore luce sui fatti ma la vicenda, dolorosissima, è una e risale al 2019: una giovane madre morta a distanza di cinque mesi dal parto e dopo vicissitudini che oggi il marito rilascia su un foglio bianco, per sfogare tutto questo tempo senza di lei, a dover crescere due figli piccoli. Minuto per minuto, un racconto crudo e doloroso che è un viaggio nella memoria che si ripete da quando è stato aperto il procedimento penale (prima contro ignoti, poi gli indagati sono diventati cinque) che proprio in questi giorni vede in corso l’incidente probatorio per verificare le responsabilità dei cinque indagati tra ginecologi, ostetriche, cardiologi. Nel corso dei mesi, sono emerse responsabilità anche da parte di un anestesista ma questo sarà un iter nuovo da affrontare.

Così, il 26 maggio sarà una data importante per capire, anche dalla relazione e dalla discussione dei medici che hanno eseguito la perizia disposta dal gip se oltre ai profili di responsabilità civilistica dell’azienda ospedaliera universitaria senese, ci siano anche delle persone indagate e vedremo anche cosa farà il giudice: decidere sulla base della legge Gelli che va sulla strada della sola responsabilità civile, oppure prendere atto delle perizie dei consulenti della parte offesa e procedere penalmente?

Nell’attesa Andrea Tavolari, il marito della giovane Anna ci invia una lettera che è uno sfogo di cuore che si legge trattenendo il respiro.

 

“La vicenda clinica riguarda mia moglie Anna. All’epoca dei fatti aveva trentotto anni. Siamo nel gennaio 2019.
Io e Anna aspettiamo un bambino, il secondo, e nel corso della gravidanza è stata diagnosticata una colestasi gravidica e successivamente la posizione bassa della placenta, oltre alla presenza di un vaso placentare molto vicino all’orifizio uterino interno. C’è la possibilità, nemmeno troppo remota, di dover praticare un parto cesareo. Siamo fiduciosi e ci affidiamo alle indicazioni dei ginecologi dell’Ospedale di Siena e della ASL che hanno in cura Anna. Nelle settimane successive con ulteriori indagini, in particolare due risonanze magnetiche condotte i giorni 21.11.2018 e 12.12.2018 (richieste dopo una visita privata, ma che i medici non esaminano) viene smentita la presenza di placenta previa, tuttavia la dottoressa che ha in cura Anna continua a mandarla all’Ospedale con la prescrizione di programmare un parto cesareo perché a suo avviso quella di Anna non può essere considerata una gravidanza fisiologica. Nonostante le indicazioni della ginecologa, in Ospedale non viene mai prescritta né eseguita un’ecografia transvaginale con color-doppler, che rimane l’unica indagine che può smentire con certezza che vi sia un problema di placenta previa.
Arriviamo così al giorno del parto. La mattina del 29 ci siamo recati all’ospedale in quanto Anna accusava i primi dolori forti ma giunti in ospedale la dottoressa di turno pratica lo scollamento dell’utero ad Anna dicendoci che la bimba sarebbe nata dopo qualche giorno, mia moglie non viene trattenuta in ospedale, nonostante le nostre richieste. Tornati a casa mia moglie continua ad accusare forti dolori alla schiena riuscendo a malapena a comminare. Verso le ore 18:00 i dolori sono troppo forti e ci prepariamo. Ci siamo avviati all’Ospedale di Siena intorno alle ore 20:00 del 29 gennaio 2019, dopo aver lasciato il nostro primo figlio di tre anni dalla nonna (come già successo la mattina). Anna è stata ricoverata intorno alle ore 22:00 (dopo nostre richieste insistenti) e nonostante le molte preoccupazioni è stata preparata per affrontare un parto naturale.
Anna lamentava dolori fortissimi alla schiena e diceva di non sentirsi bene, e che i dolori erano diversi da quelli avuti al momento del parto del nostro primo figlio. Mentre eravamo in stanza, improvvisamente, Anna ha urlato in maniera disumana, un urlo lacerante e profondo. Un lago di sangue ha inondato il pavimento e il tracciato cardiotocografico mostrava segni di sofferenza fetale. Anna, alle ore 23:40 è stata sottoposta ad un cesareo d’urgenza. La bambina, Amelia, alla nascita pesava kg 4,200 e sembrava stare bene, anche se è stata portata subito in terapia intensiva neonatale.
Nonostante la grave emorragia e il cesareo, solo dopo 20 minuti dalla fine dell’intervento mia moglie è stata portata in reparto. Sono circa le ore 1:00 e c’è un gran via vai di medici e paramedici che si muovono concitati. Ancora non mi fanno vedere mia moglie. Vado a vedere la bambina per capire come sta, sembra tutto bene, anche se il medico della terapia neonatale mi dice che potrebbero esserci dei danni. Questo mi allarma.
Ritorno da Anna. E’ trascorsa circa un’ora, e percepisco che le cose non vanno come dovrebbero, mi dicono che devono nuovamente trasferire Anna in sala operatoria per una trasfusione perché è in corso un’emorragia. Nel frattempo sono stati allertati i ginecologi, l’anestesista e il cardiologo, che nonostante l’urgenza, arriva con un evidente ritardo (alle ore 4:20). Anche la trasfusione fu chiesta in modo urgente e non “urgentissimo”(dicitura che avrebbe accorciato di molto i tempi), quindi in realtà, viene praticata solo dopo più di un’ora, alle ore 3:10, nonostante la situazione fosse drammatica. Passa il tempo, quasi sei lunghe, interminabili ore da quando mia moglie è stata portata in sala parto per il cesareo d’urgenza: mi avvertono che Anna ha avuto “una piccola angina, un principio di infarto”. Intorno alle sei della mattina Anna viene riportata in reparto, ma non sta affatto bene. E’ gonfia, cianotica, respira a fatica, i reni non funzionano. Durante tutto la giornata del 30 gennaio ad Anna viene solamente somministrato diuretico, ma secondo i medici la situazione è sotto controllo. Nella serata del 30 gennaio viene portata in rianimazione . Dopo pochi giorni, il 6 febbraio, mia moglie viene portata nel reparto di nefrologia per un trattamento dialitico, e subito mi viene detto che i reni sono persi, c’è bisogno di un trapianto. Dopo pochi giorni un grave problema respiratorio riporta Anna in rianimazione (mia moglie era arrivata a pesare quasi 70kg quando il suo peso normale si aggirava intorno ai 50kg). Nei mesi che seguono mia moglie, che ormai era una paziente in dialisi, subisce vari interventi e le numerosissime indagini che vengono eseguite in questo lungo e doloroso calvario, evidenziano fin da subito il determinarsi, a causa di grave emorragia post-partum, di un danno multiorgano irreversibile, che stante la giovane età e le buone condizioni di salute in cui si trovava mia moglie, l’ha lentamente condotta all’exitus, verificatosi a quasi cinque mesi di distanza dal parto, il 14 giugno 2019.
E’ stato necessario, prima di poter parlare con lucidità e oggettività dei fatti accaduti, che passasse il tempo necessario ad elaborare il lutto per la grave perdita di mia moglie. Oggi, la consapevolezza di dover vivere senza la madre dei miei figli, e di saper loro privati della gioia materna, mi ha portato qui, ad esporre la mia storia, per far si che si possa far luce su quanto realmente accaduto. Ho il dovere, verso mia moglie e i miei figli, che siano trovate risposte ai tanti quesiti ancora rimasti sospesi, per fare in modo che altri genitori non si trovino nella stessa situazione e perché ai nostri giorni, un evento felice e meraviglioso quale quello della nascita di un figlio, non si trasformi in una tragedia di incommensurabile dolore solo per negligenza o superficialità di alcuni medici.
Nell’occasione, chiedo alla stampa che vorrà seguire la vicenda di non etichettare mia moglie come “straniera” nei titoli e nei servizi, come in realtà è accaduto fino ad oggi. Anna era una persona, una donna ed una madre, che viveva in Italia da molti anni e aveva un effettivo legame con il nostro Paese. Ci eravamo conosciuti più di 15 anni fa, lei era venuta in Italia per studiare la lingua durante il corso di laurea. Nel frattempo aveva avviato un’agenzia di viaggio integrandosi perfettamente nella comunità cittadina. Ecco perché credo che parlare di questo drammatico evento insistendo su qualifiche di appartenenza evidenziando una diversa cittadinanza non renda onestà al racconto dei fatti. La giustizia deve essere uguale per tutti a prescindere dalla nazionalità o dal luogo in cui si è nati”.